Vent’anni dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York, il presidente americano Joe Biden ha firmato un decreto che ordina la declassificazione di alcuni documenti finora top secret relativi alle indagini sugli attacchi dell'11 settembre 2001, che provocarono quasi tremila morti e che – come è stato detto – “sconvolsero il mondo”.

Nuove rivelazioni in vista, dunque, su una delle pagine più tragiche della storia contemporanea recente. Ma nell’attesa di conoscere il contenuto dei file che verranno resi pubblici per ordine della Casa Bianca (ci vorranno sembra sei mesi) e alla vigilia del 20esimo anniversario della strage delle Twin Towers, dai media americani già arrivano clamorosi retroscena e nuove teorie su quanto accadde, e sul come e sul perché. 

I primi rumors sono stati raccolti da Catherine Herridge, giornalista di Cbs News, che ha parlato con un ex agente dell’Fbi – Danny Gonzalez – a proposito della cosiddetta “Operazione Encore”, ovvero un’indagine riguardante i possibili – e probabili – “agganci” avuti dai 19 attentatori nella fase di preparazione dell’attacco e le cui risultanze potrebbero presto essere disvelate proprio in virtù del provvedimento di Biden.

Secondo l’ex 007 gli attentatori avrebbero senza dubbio avuto un “supporto con sede negli Stati Uniti”, alla luce di prove che lui stesso ha potuto conoscere e visionare.  "Diciannove attentatori non possono aver ucciso tremila persone da soli”, ha commentato l’ex agente federale, senza però sbottonarsi troppo sui dettagli. Il sospetto è che i terroristi di Al Qaeda possano aver avuto un qualche aiuto da cittadini sauditi presenti su territorio americano. Un’ipotesi non nuova, per la verità (tanto che numerose famiglie delle vittime dell’attentato hanno già avviato cause legali proprio contro l’Arabia Saudita), ma che a breve potrebbe avere nuove prove per essere suffragata. 

Di tutt’altro tenore, invece, le rivelazioni raccolte da fonti vicine ai dirottatori da William M Arkin, giornalista d’inchiesta di “Newsweek”, che in un approfondimento dedicato all’attentato dell’11 settembre ha rispolverato l’ipotesi che il commando non volesse in realtà colpire entrambe le torri, ma che, invece, lo avrebbe fatto perché due dei piloti – il capo dell’operazione Mohamed Atta e il complice Marwan al-Shehhi – avrebbero scelto all’ultimo di “morire assieme”.

Per Arkin, infatti, gli obiettivi originari del piano erano la Torre Nord del World Trade Center, il Pentagono, il Campidoglio e la Casa Bianca. 

Atta, ai comandi del volo American Airlines numero 11, centrò il suo obiettivo, la North Tower, e così fece il velivolo pilotato dal complice cui era stato “assegnato” il Pentagono, mentre il volo diretto verso Capitol Hill venne fatto cadere in Pennsylvania dall’eroica ribellione dei passeggeri.

Secondo il giornalista del Newsweek, il quarto aereo sequestrato dal commando – lo United Airlines numero 175 – era “destinato” alla Casa Bianca, ma si diresse invece verso la Torre Sud del World Trade Center perché il pilota-dirottatore, Marwan al-Shehhi, voleva condividere il martirio “accanto” ad Atta, che aveva già centrato la Torre Nord. 

A riprova, Arkin parla di un “rapporto speciale” tra i due, ricostruisce i loro giorni precedenti l’attentato, che trascorsero “quasi sempre assieme”, e, dopo aver parlato anche con famigliari e conoscenti di entrambi, afferma addirittura che tra loro potesse esserci qualcosa di più di una semplice amicizia. 

Il tutto per dimostrare, al di là del fatto che fossero amanti o meno, quanto avrebbero potuto essere diverse le conseguenze dell’attentato se gli obiettivi originari fossero stati rispettati. 

Da una parte, se fosse stata colpita solo una torre, forse i due grattacieli non sarebbero collassati, risparmiando la vita a centinaia e centinaia di persone. Secondo analisi citate proprio dall’articolo di Newsweek, infatti, il crollo venne determinato dalla combinazione di calore, danni e detriti provocati dall’impatto di due aerei, mentre con un singolo impatto le torri avrebbero potuto restare in piedi.

Dall’altra parte, se l’aereo United 175 fosse riuscito a colpire la Casa Bianca, avrebbe probabilmente ucciso Dick Cheney, vice del presidente allora in carica, George W. Bush, che si trovava all’interno della residenza di Washington nelle ore dell’attacco. E il mondo avrebbe visto il simbolo del potere e del prestigio americano andare in frantumi in diretta televisiva. 

Conclude Arkin: “Pensate alla Casa Bianca, l'icona americana per eccellenza, distrutta. E’ davvero difficile immaginare quali sarebbero state le conseguenze di un simile attacco”. 

(Unioneonline/l.f.)

© Riproduzione riservata