Turetta all’ergastolo, e ora? Primi permessi tra nove anni, semilibertà tra 20
Prima notte da ergastolano per l’assassino di Giulia, che condivide la cella con altre due persone. Ma non è un fine pena maiPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Prima notte da ergastolano nel carcere di Verona Montorio per Filippo Turetta, dopo la condanna in primo grado comminata ieri dalla Corte d’assise di Venezia per l’omicidio di Giulia Cecchettin.
La sua vita non cambierà di molto rispetto a quando, lo scorso 25 novembre, entrò nella casa circondariale veronese. Il 22enne condivide la cella assieme ad altre due persone, quest’anno è stato spesso solo, leggendo libri o incontrando psicologi e i suoi genitori. Guarda la tv, ha seguito gli sviluppi dell’inchiesta e del processo a suo carico.
Quanto al futuro, lo avevano già sottolineato i pm in fase di requisitoria, l’ergastolo non è un “fine pena mai”. Secondo la legge, in caso di comportamento esemplare, a Turetta già dopo 10 anni di carcere (uno lo ha già scontato, quindi ne mancano 9) possono venire accordati dei permessi per frequentare percorsi formativi all’interno o all’esterno del carcere. E dopo 26 anni, 21 in caso di comportamento irreprensibile, sarà possibile ottenere la semilibertà. Le decisioni in merito spettano al Tribunale di Sorveglianza.
Lo ha sottolineato anche Stefano Tigani, legale di parte civile per Gino Cecchettin: «Il futuro di Turetta non ci interessa, ci deve pensare lui e avrà tempo per riflettere in carcere. L'ergastolo non è il carcere a vita: una persona condannata può dare prova di risocializzazione e accedere alla liberazione condizionale, se meriterà di accedervi. Dipende da lui, ora è un soggetto altamente pericoloso, lo ha dimostrato, di grave pericolo per la società, quindi la pena dell'ergastolo è quella giusta».
Il padre di Giulia ha invece espresso al Corriere della Sera le sue perplessità sul mancato riconoscimento delle aggravanti della crudeltà e dello stalking: «Se non ci sono con centinaia di messaggi al giorno a 75 coltellate, non allora cosa siano queste aggravanti».
Gino Cecchettin ha ribadito quanto detto ieri dopo la lettura della sentenza: «Abbiamo perso tutti». E, su un eventuale perdono all’assassino di sua figlia, ha dichiarato: «Quella è una dote che si acquisisce o perché te la dona madre natura o perché raggiungi un livello talmente elevato che fai un salto qualitativo come uomo. Io questo salto devo ancora farlo, e quindi mi risulta difficile anche solo pensare al perdono».
Soddisfatta la Procura di Venezia per l’esito del processo. Le parole del procuratore reggente Stefano Ancilotto: «Come già ricordato non si tratta di un processo al fenomeno dei femminicidi, ma ad una singola persona. È stata riconosciuta l'aggravante più importante, quella della premeditazione: l'uccisione di Giulia Cecchettin non è stato un gesto d'impeto, un momento cagionato da una lite, ma il frutto di una scelta deliberata, programmata e organizzato nel tempo. E questo spiega il massimo della pena».
Riguardo all'esclusione delle aggravanti della crudeltà e l'assoluzione dal reato di stalking, Ancilotto si è limitato a dichiarare: «Leggeremo cosa scrivono i giudici».
(Unioneonline/L)