Stefania Craxi: «È la peggiore crisi mondiale, non l’abbiamo vista arrivare»
Dopo i sogni globalisti l’Ue impari a parlare con una voce sola. Sigonella? Fu RisorgimentoPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Se nei giorni scorsi Antonio Tajani, costretto a rimpinzare la sua agenda di sempre nuove crisi internazionali, si è definito scherzosamente il ministro degli Esteri più sfigato della storia, Stefania Craxi non cederebbe mai a una simile botta di autocommiserazione. D’altra parte «una Craxi non piange», come le disse una volta sua padre Bettino e come lei racconta nel suo “All’ombra della storia”, il memoir che ha presentato nei giorni scorsi a Cabras, al festival letterario dell’archeologia. Ma per quanto rimanga a ciglio asciutto, Craxi sa di politica estera – sottosegretaria nel Berlusconi IV, oggi presiede la terza Commissione del Senato – abbastanza per aver chiaro che «attraversiamo il periodo più gravido di pericoli per l’umanità dalla Seconda Guerra Mondiale, con il sistema internazionale alla ricerca di un nuovo ordine che ancora non è alle viste, e le democrazie occidentali che mostrano le loro fragilità e sono con tutta evidenza sotto attacco. Purtroppo siamo arrivati a questo momento – parlo soprattutto dell’Occidente e dell’Europa in particolare – molto impreparati. Non l’abbiamo visto arrivare, come si dice oggi.
Perché?
«Perché in questi anni ci siamo cullati nel sogno dell’ideologia globalista, che ci aveva spiegato che la storia era alla fine, che ci sarebbe stata la pace per sempre, che non serviva più la politica, che non esistevano popoli, nazioni e confini. Beh, mi sembra che la storia abbia continuato a correre, che la politica serva, che il mercato lasciato a sé stesso abbia allargato la forbice delle diseguaglianze e che i popoli esistano, anche quando sono poveri, derelitti e senza voce. Esistono le nazioni, con il loro fardello di ferite storiche, ed esistono i confini. L’unica cosa che non ha trovato confini sono i soldi».
L’Italia che ruolo può avere su uno scacchiere così infiammato?
«L’Italia è una media potenza regionale alla quale la storia e la geografia assegnano un ruolo di leadership mediterranea. Detto questo, nessun Paese oggi può pensare di agire da solo e l’Italia agisce nel contesto delle sue alleanze storiche: parlo di un’Europa che deve imparare a parlare con una voce sola in politica estera e quindi dotarsi di una politica unica di difesa, e naturalmente deve farlo nel contesto della Nato, l’alleanza con il nostro partner transatlantico che è un’alleanza di valori prima ancora che militare».
Però ora all’Europarlamento arriva la mozione di censura per Ursula von der Leyen: Forza Italia è per il no, la Lega è per il sì, FdI forse si astiene. Come può un governo così diviso contribuire a rafforzare l’Europa?
«Intanto le divisioni sono sullo scacchiere europeo e non sono solo nel centrodestra: in questi mesi abbiamo visto altre divisioni anche all’interno del centrosinistra. Dopo di che, in politica internazionale il tema non è la dialettica maggioranza-opposizione: il tema è il Paese, che deve sforzarsi di avere una posizione unitaria e chiedere che l’Europa abbia a sua volta un’unica posizione in politica estera, se vuole contare qualcosa sullo scenario internazionale».
Un tema che impone una posizione unica è quello dei dazi. È arrivato un altro rinvio: come ci stiamo preparando a un eventuale esito infausto delle trattative?
«Lei sa bene che le trattative non sono in capo all’Italia ma all’Europa, che sul tema ha una posizione coesa. Io spero che l’amministrazione Trump, che è un’amministrazione per certi versi difficile e per altri versi sfidante, sia colta dall’Europa come un’occasione per parlare con una voce sola in politica estera ed economica. D’altra parte le sfide quando arrivano vanno raccolte, e io auspico che l’Europa sia in grado di farlo. L’Italia comunque si sta preparando: ovviamente stiamo ragionando su un sostegno all’agricoltura e in generale a tutte le tipologie di produzioni che verranno colpite. Però è chiaro a tutti che stiamo parlando a trattative ancora aperte, e se permette non vorrei fare la fine del mago Otelma».
Un piano B, o almeno un lenitivo in caso di dazi, potrebbe arrivare dall’accordo con il Mercosur. Che però ci vede fra i Paesi europei perplessi.
«Mi permetto di smentirla: il governo non è perplesso sul Mercosur. Le perplessità sono nel comparto agricolo e ovviamente ragioneremo su delle compensazioni, ma è evidente che in una situazione di questo genere noi abbiamo l’assoluta necessità di ampliare lo specchio delle nostre alleanze commerciali e dei nostri mercati di esportazione».
Lei presiede la commissione Esteri del Senato: che cosa pensa di Trump candidato al Nobel per la pace da Netanyahu?
«Non vorrei che andasse come con quello dato a Obama, mi sembra che questi Nobel dati con tanto anticipo non finiscano mai bene».
Colpo basso inevitabile: quarant’anni fa la crisi di Sigonella, quanto ad autorevolezza sul piano internazionale era un’altra Italia.
«Intanto mi consenta di dire che è stato l’ultimo atto del nostro Risorgimento. Poi, certo, lei parla di un’Italia che contava di più, ma eravamo la quinta potenza economica al mondo, e questo ha un peso. Contavamo di più perché avevamo da tempo un ruolo nel Mediterraneo, e ovviamente perché eravamo un Paese di frontiera fra Est e Ovest. Sa, non si può paragonare una stagione storica a un’altra. Craxi poi fu una personalità del tutto eccezionale, e da uomo dell’Occidente seppe dimostrare che si può essere alleati degli Stati Uniti d’America perfettamente leali senza essere subalterni. Mi auguro che sarà la postura del nostro governo nei confronti del suo maggiore alleato».
Ogni tanto quando l’America minaccia i dazi ai suoi alleati viene da domandarsi come se la sarebbe cavata Craxi.
«Le ripeto, non si possono paragonare stagioni storiche diverse. Però con questo governo l’Italia ha ripreso a parlare al mondo e adesso, che piaccia o non piaccia, è un po’ ascoltata».
Però suona piuttosto preoccupante che alla vigilia del vertice di Roma sulla ricostruzione dell’Ucraina il fondo BlackRock, con la sua enorme potenza finanziaria, si sia sfilato dagli investitori.
«C’è un proverbio che dice: fai quel che devi, accada quel che può. Come governo italiano quel che dobbiamo fare lo stiamo facendo».