L'Italia resta chiusa fino a maggio e da lunedì più di metà del Paese sarà in zona rossa, con Calabria, Toscana e Valle d'Aosta che si vanno ad aggiungere alle 7 regioni e alla provincia autonoma di Trento in cui sono già in vigore le restrizioni più dure, mentre il Lazio torna in arancione. Con ancora 24mila casi e 450 morti in un giorno, il governo conferma la linea del massimo rigore anche dopo Pasqua decidendo però di investire il "tesoretto" garantito dai primi segnali di inversione della curva sulla scuola: si tornerà in presenza fino alla prima media nelle zone rosse, mentre in quelle arancioni saranno in classe tutti gli studenti fino alla terza media e al 50% quelli delle superiori.

Fino al 30 aprile, dunque, niente spostamenti tra le regioni, saracinesche ancora abbassate per bar e ristoranti, riapertura di palestre, piscine, cinema e teatri a data da destinarsi, zona gialla cancellata fino alla fine del mese.

"Le misure adottate finora ci hanno dato un primissimo segnale di rallentamento, ma la situazione è ancora delicata", dice il ministro della Salute Roberto Speranza.

La scelta di prolungare la stretta ancora per un altro mese è stata condivisa nella cabina di regia, ma ha provocato comunque tensioni nella maggioranza.

"È impensabile tenere chiusa l'Italia anche per tutto il mese di aprile" dice il leader della Lega Matteo Salvini chiedendo al presidente del Consiglio, "nel nome del buonsenso che lo contraddistingue e soprattutto dei dati medici e scientifici", di considerare la possibilità di riaprire in sicurezza le attività almeno in quelle regioni e città "con la situazione sanitaria sotto controllo".

Le chiusure "sono pensabili o impensabili solo in base ai dati. E' desiderabile riaprire, la decisione se farlo o meno dipende dai dati", replica in conferenza stampa lo stesso premier Mario Draghi lasciando però aperto uno spiraglio: ci sarà un monitoraggio "settimana per settimana" e se i numeri lo consentiranno non si possono escludere "cambiamenti in corso".

Il governo prorogherà dunque l'attuale decreto in vigore già all'inizio della settimana prossima dopo l'incontro lunedì con le Regioni, e valuterà non prima della metà del mese l'andamento della curva dei contagi.

In ogni caso è probabile che fino al 30 aprile, quando scadrà lo stato d'emergenza in vigore dal gennaio dell'anno scorso, non cambierà nulla. Sarà quella l'occasione per definire la durata della proroga e un quadro graduale delle riaperture.

Al momento infatti la situazione epidemiologica è quella che hanno illustrato ai ministri il coordinatore del Comitato tecnico scientifico Franco Locatelli e il presidente dell'Istituto superiore di Sanità Silvio Brusaferro. La curva rallenta, l'indice Rt scende da 1,16 a 1,08, si cominciano a vedere i primi segnali di stabilizzazione e un leggero decremento dei casi e dell'incidenza. Un calo che però "non consente di ridurre le attuali misure" e che, anzi, richiede ancora una "drastica riduzione delle interazioni fisiche e della mobilità" per potersi consolidare.

La mappa dell'Italia, con 5 regioni a rischio alto e 13 con l'Rt sopra l'1, resta dunque rosso-arancione: Calabria, Toscana e Valle D'Aosta vanno ad aggiungersi nella fascia con le restrizioni massime dove già si trovano Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Veneto, la province di Trento e la Puglia.

Regione, quest'ultima, dove il presidente Michele Emiliano ha firmato un'ordinanza che introduce ulteriori restrizioni: niente spostamenti nelle seconde case, negozi chiusi alle 18, aumento dello smart working per i dipendenti pubblici.

Passa invece in arancione da martedì il Lazio, che ha un Rt a 0,97: sono così 8 le regioni in questa fascia, tra cui anche la Sardegna, anche se in molte ci sono interi comuni in zona rossa. In Sicilia, ad esempio, il presidente Nello Musumeci ha firmato l'ordinanza per tre comuni dell'agrigentino - Comitini, Racalmuto e Siculiana - e Centirupe nell'ennese, che si vanno ad aggiungere a Caltavuturo e San Mauro Castelverde.

(Unioneonline/F)
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