A due anni dalla sepoltura nel cimitero di Sant'Anna a Trieste, la salma di Liliana Resinovich sarà riesumata. Una procedura «opportuna», secondo la consulente della Procura di Trieste, l'antropologa forense Cristina Cattaneo, cui è stato affidato il compito di redigere una perizia medico-legale per fare chiarezza sulle cause che hanno portato alla morte della 63enne.

L'auspicio del fratello di Liliana, Sergio, è che ora «si arrivi alla verità». Anche il marito Sebastiano Visintin attende «risposte».

Il sostituto procuratore titolare del procedimento, Maddalena Chergia, «ha disposto con la procedura dell'accertamento tecnico non ripetibile il conferimento, a un collegio di consulenti, dell'incarico di riesumazione della salma di Liliana Resinovich». Gli esperti sono convocati per fine mese. Il mandato all'anatomopatologa prevede la stesura di una nuova consulenza che accerti le lesioni riscontrate sul cadavere della donna, la loro origine, il mezzo che le ha prodotte, la datazione e ogni altro elemento utile a qualificare il decesso quale conseguenza di una azione suicidaria o di un fatto attribuibile a terzi.

Cattaneo - che in passato si era occupata di casi come quelli di Yara Gambirasio, David Rossi, Stefano Cucchi e Elisa Claps - ha assunto l'incarico dopo che il gip del Tribunale di Trieste Luigi Dainotti lo scorso giugno aveva respinto la richiesta di archiviazione sul caso, avanzata dalla Procura, e disposto un supplemento di indagini, procedendo non più per sequestro di persona ma per omicidio e indicando 25 punti di nuovi accertamenti.

Dunque nuovi esami medico-legali, analisi degli account e dei dispositivi digitali di tutte le persone coinvolte - in particolare Sebastiano Visintin e l'uomo cui Liliana era legata affettivamente, Claudio Sterpin - comparazioni di Dna, escussioni di varie persone.

Liliana Resinovich era scomparsa dalla sua casa di via Verrocchio a Trieste il 14 dicembre 2021. Il suo cadavere fu ritrovato una ventina di giorni dopo, il 5 gennaio 2022, nel boschetto dell'ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, non lontano dalla sua abitazione. Giaceva tra la vegetazione con un sacchetto di plastica in testa, legato da un cordino, e chiuso in due sacchi neri, infilati rispettivamente dall'alto e dal basso. Secondo l'autopsia, la donna era morta per «uno scompenso cardiaco acuto»; non erano stati rilevati «traumi da mano altrui atti a giustificare il decesso». Ulteriori indagini della squadra mobile, perizie e accertamenti, susseguitisi nel tempo, avevano portato la Procura, lo scorso febbraio, a chiedere l'archiviazione del caso, stabilendo che l'allontanamento da casa, come la morte, fossero stati intenzionali. Un epilogo che i familiari però hanno sempre respinto, opponendosi davanti al Gip. L'ipotesi del suicidio non è mai stata presa in considerazione da Sergio Resinovich. La notizia di oggi accende in lui dunque una nuova speranza.

(Unioneonline)

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