Pagavano per sparare a Sarajevo, «i bambini costavano di più»: a Milano l’inchiesta sui “cecchini del weekend”
Italiani che finanziavano le milizie serbo-bosniache per il puro gusto di uccidere i residenti nella città assediata: trent’anni dopo indaga la Procura(Ansa)
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Partivano dall'Italia pagando somme «ingenti» ai militari serbi per partecipare all'assedio di Sarajevo e sparare «per divertimento» contro i cittadini della capitale bosniaca durante la guerra. Per individuare questi «turisti della guerra» a Milano è aperta un'inchiesta che punta a individuare coloro che parteciparono al massacro di oltre 11mila persone tra il 1993 e il 1995, come riportano oggi il Giorno e La Repubblica.
Il fascicolo - di cui aveva già scritto Il Giornale a luglio - è stato aperto dal pm Alessandro Gobbis con l'accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai motivi abbietti ed è al momento a carico di ignoti e nasce dall'esposto presentato dal giornalista e scrittore Ezio Gavazzeni. In base alle testimonianze raccolte, da tutto il nord Italia questi “cecchini del weekend”, perlopiù simpatizzanti di estrema destra con la passione per le armi, si radunavano a Trieste e venivano portati poi sulle colline attorno a Sarajevo dove potevano sparare sulla popolazione della città assediata dopo aver pagato le milizie serbo-bosniache di Radovan Karadzic. Nel fascicolo c'è anche una relazione su questi «ricchi stranieri amanti di imprese disumane» inviata alla Procura di Milano dall'ex sindaca di Sarajevo Benjamina Karic.
«Ciò che ho appreso, da una fonte in Bosnia-Erzegovina, è che l'intelligence bosniaca a fine 1993 ha avvertito la locale sede del Sismi della presenza di almeno 5 italiani, che si trovavano sulle colline intorno alla città, accompagnati per sparare ai civili». Lo si legge nell'esposto dello scrittore Ezio Gavazzeni. La «mia fonte», spiega lo scrittore assistito dagli avvocati Nicola Brigida e Guido Salvini, «faceva parte dell'intelligence bosniaca» e nell'atto viene indicato con nome e cognome. Gavazzeni riporta uno scambio di mail del novembre 2024 con la fonte che scriveva: «Ho appreso del fenomeno alla fine del 1993 dai documenti del servizio di sicurezza militare bosniaco sull'interrogatorio di un volontario serbo catturato, venuto a combattere dalla parte dei serbi di Bosnia ed Erzegovina. Ha testimoniato - si legge - che 5 stranieri hanno viaggiato con lui da Belgrado alla Bosnia Erzegovina (almeno tre di loro erano italiani, e uno ha detto di essere di Milano)». All'epoca, ha raccontato l'ex 007 bosniaco, «lavoravo nel servizio di intelligence militare dell'esercito bosniaco. Condividemmo le informazioni con gli ufficiali del Sismi (ora Aisi) a Sarajevo perché c'erano indicazioni che gruppi turistici di cecchini/cacciatori stavano partendo da Trieste». Lo scrittore nelle 17 pagine dell'esposto dà conto che «in una testimonianza è riportato che tra questi ci fossero degli italiani: un uomo di Torino, uno Milano e l'ultimo di Trieste». E ancora: «Uno dei cecchini italiani identificati sulle colline sopra Sarajevo nel 1993, oggetto della segnalazione al Sismi, era di Milano e proprietario di una clinica privata specializzata in interventi di tipo estetico».
Per ora agli atti dell'indagine ci sono solo i documenti presentati dall'autore dell'esposto, datato 28 gennaio, e nelle prossime settimane il pm Alessandro Gobbis, con delega al Ros dei carabinieri, dovrà effettuare verifiche, ascoltando semmai le persone indicate dallo scrittore. Per ora, spiega lo scrittore, «sono solo 'soffiate'», ma sarebbe esistita anche «una tariffa per queste uccisioni: i bambini costavano di più, poi gli uomini (meglio in divisa e armati), le donne e infine i vecchi che si potevano uccidere gratis». Lo scrittore fa anche riferimento al documentario "Sarajevo Safari" del 2022 e chiarisce che «il regista Miran Zupanic ci ha dato le password per accedere alla visione riservata del film sul sito di Al Jazeera e posso fornirle al magistrato che ne farà richiesta». Nel filmato anche un testimone anonimo. E ancora: «Alcune fonti parlano di americani, canadesi e russi, ma anche di italiani, che erano disposti a pagare per giocare alla guerra». I clienti, ha raccontato l'ex 007 bosniaco, erano «sicuramente persone molto ricche» che potevano «permettersi economicamente una sfida così “adrenalinica”». Per il modo in cui «tutto era organizzato, i servizi bosniaci ritenevano che dietro a tutto ci fosse il servizio di sicurezza statale serbo». E con «le infrastrutture dell'ex compagnia aerea serba di charter e turismo Aviogenex». Jovica Stanišić, «condannato per crimini di guerra al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, svolgeva un ruolo chiave in questo servizio». Stando all'esposto, tra questi "turisti-cecchini" c'erano anche appassionati di caccia e armi. E la «copertura dell'attività venatoria serviva così per portare, senza sospetti, i gruppi a destinazione a Belgrado».
«Ho assistito in più di un'occasione a persone che non mi sembravano persone del posto per il loro abbigliamento, per le armi che portavano, per il modo in cui venivano trattati, gestiti, cioè guidati dai locali. Ho visto questo a Sarajevo in diverse occasioni». Così un passaggio della testimonianza di John Jordan, un ex vigile del fuoco statunitense che era volontario nella città assediata di Sarajevo negli anni '90, davanti alla Corte internazionale dell'Aja nel processo al comandante dell'esercito serbo-bosniaco Ratko Mladic. Passaggi di questa deposizione del 2007 è contenta sempre nell'esposto dello scrittore Ezio Gavazzeni ai pm milanesi. «Era chiaramente evidente - si legge ancora nella testimonianza di 18 anni fa - che la persona guidata da uomini che conoscevano bene il terreno era completamente estranea al terreno, e il suo modo di vestire e le armi che portava con sé mi hanno fatto pensare che fossero tiratori turistici». E ancora: «Quando un ragazzo si presenta con un'arma che sembra più adatta alla caccia al cinghiale nella Foresta Nera, che al combattimento urbano nei Balcani... Quando lo si vede maneggiare e si capisce che è un novizio...». In questi giorni, tra l'altro, alla Casa della Memoria di Milano è in corso una mostra fotografica intitolata 'Shooting in Sarajevo', che ricorda proprio l'assedio alla città di 30 anni fa.
(Unioneonline)
