Depistaggi, inadeguatezza dei soccorsi, interessi miliardari e accordi tra assicurazioni. Sono passati quasi 29 anni e ancora non è stata fatta giustizia sul caso del traghetto Moby Prince, entrato in collisione con la petroliera Agip Abruzzo il 10 aprile 1991 nelle acque del porto di Livorno, e dei 140 morti. Il disastro del Moby Prince è, in termini di perdita di vite umane, la più grave tragedia che abbia mai colpito la Marina mercantile italiana dal secondo dopoguerra.

Fu istituita una commissione parlamentare di inchiesta per cercare di fare luce sulla tragedia ancora avvolta dalla nebbia del mistero. Di quel gruppo facevano parte i senatori Silvio Lai, Emilio Floris e Luciano Uras. Manca tanto all'accertamento della verità. La Commissione è arrivata a una conclusione che ha messo fortemente in discussione l'esito dei processi penali. Luciano Uras, ricordando quell'immane tragedia, evidenzia i punti acclarati dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sui quali la magistratura dovrebbe fare piena luce. 10 aprile 1991. Porto di Livorno. 140 persone, perdono la vita. Insieme, passeggeri ed equipaggio della Moby Prince, nella tragedia più grave della marina civile italiana. Un solo superstite. Una pagina triste. Rattristata, ulteriormente, dalla difficoltà per i familiari delle vittime di ottenere giustizia, l'attenzione che avrebbero meritato sin da quella notte di aprile, anche dai poteri dello Stato. Una "strage" giuridicamente mai dichiarata, coperta dalla nebbia inesistente e dall'omertà di interessi tutti da indagare.

Aver avuto l'opportunità di partecipare alla Commissione d'inchiesta parlamentare sul disastro è stato per me un privilegio. Ho avuto la possibilità di conoscere persone di grande carattere e di umanità straordinaria. Per tutti ricordo i figli del comandante del traghetto, Angelo e Luchino Chessa, e Loris Rispoli, presidente dell'associazione "140". Quest'anno, come ci è stato ricordato da Luchino (associazione "10 aprile"), non sarà possibile - causa la devastante pandemia da covid-19 - ritrovarsi per sostenere con la nostra presenza una accelerazione delle azioni giudiziarie che, alla luce dei lavori parlamentari, possono avere finalmente lo sviluppo che meritano. Magari in silenzio, insieme ai sardi che hanno presieduto e partecipato alla Commissione, nella piazza dedicata da Cagliari ai bambini, alle donne e agli uomini della Moby.

Vale, però, rammentare a tutti noi i risultati più significativi di quell'inchiesta e le motivazioni per cui è giusto pretendere, a distanza di 29 anni, anche una verità giudiziaria. Vale per rendere giustizia alla sofferenza inconsolabile dei familiari. Per questo le relazioni sono state trasmesse, come nostro ultimo atto, alle procure competenti. Era il 2018. Nella sintesi conclusiva, la Commissione dice chiaramente alcune cose: che "non concorda con le risultanze cui è pervenuta l'Autorità giudiziaria in esito ai vari procedimenti (che nel passato) … hanno riguardato la tragedia, in particolare dissente sulla presenza della nebbia e sulla condotta colposa, in termini di imprudenza e negligenza, avuta dal comando del traghetto Moby Prince. La presenza di nebbia, nelle fasi antecedenti e immediatamente successive alla collisione, non è stata infatti confermata né dai numerosi testimoni oculari dello scenario, né dai documenti acquisiti sulle condizioni meteo, né dalla documentazione video riguardante i momenti immediatamente successivi all'impatto." Che "La nebbia, di contro, ha immotivatamente costituito una, se non la principale, causa di giustificazione del conclamato caos organizzativo che ha contraddistinto la fase dei soccorsi coordinati dalla Capitaneria di porto". Che "l'attività di indagine della procura di Livorno, sottesa al processo di primo grado, sia stata carente e condizionata da diversi fattori esterni …. In particolare appare aver avuto un indubbio effetto condizionante l'avere utilizzato parte dell'indagine sommaria svolta dalla stessa Capitaneria di porto e precisamente dagli stessi soggetti direttamente coinvolti nella gestione dei soccorsi". Che "l'accordo assicurativo siglato dopo soli due mesi dall'evento tra gli armatori delle due navi coinvolte sembra aver condizionato, se pur indirettamente, l'operato dell'Autorità giudiziaria. In tale contesto è al di fuori di ogni logica investigativa e non giustificabile da ragioni tecniche l'avere disposto il dissequestro della petroliera Agip Abruzzo dopo soli sette mesi dall'impatto, quando ancora doveva definirsi la fase processuale di primo grado. Tale atto, unito alla difficoltà di verifica del carico, può aver impedito ogni ulteriore approfondimento sulle cause della collisione, sulla presenza di alterazioni alle altre cisterne, sulla tipologia e propagazione dell'incendio in relazione al tipo di greggio o di raffinato trasportato dall'Agip Abruzzo". Che "censurabili appaiono le misure predisposte per garantire l'integrità del traghetto Moby Prince, una volta sequestrato, essendo emerso come fosse del tutto agevole per chiunque e per qualunque finalità, anche illecita, accedere a bordo e procedere ad una alterazione del corpo di reato". Che appare, infatti "lacunosa la fase dell'indagine giudiziaria relativa all'aspetto medico-legale, essendo stata connotata soprattutto da valutazioni, di sensibilità civile, piuttosto che da profili squisitamente medico-legali. Segnatamente l'operato dell'equipe medico-legale è stato pressoché assorbito dalla necessità di procedere all'identificazione". Che "ritiene che la petroliera Agip Abruzzo si trovasse in zona di divieto di ancoraggio e che dunque la sua posizione non sia stata correttamente riportata nel corso delle indagini giudiziarie e del processo". Che "ritiene che la morte di passeggeri ed equipaggio del Moby Prince non sia avvenuta entro trenta minuti per tutti e che già nel 1991 una gestione più adeguata degli esami medico legali avrebbe reso chiaro questo dato. Dati oggettivi e valutazioni dei consulenti della Commissione escludono che si possa pensare ad un periodo di breve durata entro il quale siano tutti deceduti". Che "non siano stati prestati i soccorsi dovuti al traghetto Moby Prince. L'analisi della loro organizzazione ha portato la Commissione a confermare un giudizio di mancato coordinamento e di sostanziale assenza di intervento nei confronti del traghetto Moby Prince. La normativa attribuiva alla Capitaneria di porto precise e ineludibili responsabilità. Durante le ore cruciali la Capitaneria apparve del tutto incapace di coordinare un'azione di soccorso e non venne dato un ordine né una priorità di azione attraverso i canali radio riservati all'emergenza. Alla luce dei dati acquisiti, i tragici effetti sulla vita di almeno una parte delle persone a bordo sono stati determinati dalla sostanziale abdicazione delle autorità responsabili rispetto a una efficace funzione di soccorso pubblico in mare.

Il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu risponde alla lettera inviata da Luchino Chessa, presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime della strage. "Sono vicino ai familiari di questa tragedia italiana. Sono vicino, nel ricordo, ai tanti morti che oggi chiedono ancora verità. Avevo 19 anni allora e la memoria di quel disastro è sempre viva nella mente di tanti sardi. Qualcuno ha detto che "la verità è troppo potente per essere ingabbiata", per questo ammiro la sua lotta e la sua fiducia incrollabile. Sappia che l'Amministrazione di Cagliari è presente nel ricordo e nel supporto fattivo affinché ciò che è successo quella notte - e il perché- emerga una volta per sempre. In questo senso, credo che i risultati della Commissione d'inchiesta in Senato abbiano aperto uno squarcio di luce".
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