«Abbiamo catturato l'ultimo responsabile delle stragi del 1992-93 e siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine oggi, che conclude uno sforzo lungo e delicatissimo».

Così il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia nella conferenza stampa organizzata dagli inquirenti dopo l'arresto di Matteo Messina Denaro, il superboss di Cosa Nostra latitante da 30 anni e fermato proprio a Palermo, mentre si recava a una visita oncologica in una clinica privata.

«È un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia – ha aggiunto de Lucia – che in parte abbiamo saldato».

«Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico», ha sottolineato il procuratore di Palermo, esprimendo «il mio grazie al collega Paolo Guido che ha portato avanti le indagini in modo magistrale e il mio affetto e riconoscimento all'Arma e al Ros che abbiamo visto lavorare in modo indefesso».

L’arresto del superboss, ha detto Pasquale Angelosanto, comandante del Ros, «è il risultato di un lavoro corale che si è svolto nel tempo, che si è basato sul sacrificio dei carabinieri in tanti anni. L'ultimo periodo, quelle delle feste natalizie, i nostri lo hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi che ogni giorno si arricchivano sempre di più e venivano comunicati. La Procura era aperta anche all'antivigilia, è stato uno sforzo corale».

Nessuna soffiata, hanno precisato gli investigatori, ma le indagini sono state condotte con il metodo tradizionale, «quello del generale Dalla Chiesa».

«La mafia – ha sottolineato ancora il procuratore de Lucia – non è sconfitta e l’errore più grande è pensare che la partita sia finita».

«Abbiamo trovato un uomo di 60 anni ben curato, in linea col profilo di un utente medio di una clinica d’eccellenza, in buone condizioni nonostante i problemi che aveva avuto», hanno spiegato gli inquirenti. Inoltre «era ben vestito e aveva indosso vestiti di lusso, compreso un orologio da oltre 30mila euro, segno di una vita di benessere e del sostegno di cui godeva dalla rete che l’ha sempre sostenuto».

«Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere», ha detto l'aggiunto di Palermo Paolo Guido.

«Allo stato – hanno spiegato gli investigatori – non abbiamo elementi per parlare di complicità del personale della clinica anche perché i documenti che esibiva il latitante erano in apparenza regolari».

Gli inquirenti hanno inoltre spiegato che il cerchio attorno a Messina Denaro – definito «leader operativo con disponibilità economica e la capacità di essere presente» negli affari di Cosa Nostra – si è stretto seguendo la pista dei malati in cura per tumore.

C’era un uomo che rispondeva al nome di Andrea Bonafede che aveva prenotato una visita. Il profilo era compatibile e così è scattato il blitz. «Ma fino a questa mattina non avevamo la certezza che potesse essere lui», hanno sottolineato gli investigatori. Il boss sarebbe giunto alla clinica di Palermo dal Trapanese, senza aggiungere però dettagli, «perché sono in corso ancora attività di indagini ulteriori».

Top secret al momento il carcere dove sarà destinato il superboss, che verrà sottoposto a regime carcerario “duro”, secondo il 41 bis.

L’ARRESTO DI MESSINA DENARO: LEGGI TUTTE LE NOTIZIE

(Unioneonline/l.f.)

© Riproduzione riservata