"Dove sono mamma e papà?".

Lo chiedevano a tutti, i due fratellini tunisini, l’orrore negli occhi, sbarcati nell’ultimo naufragio avvenuto davanti al porto di Lampedusa sabato scorso. Lo domandavano a chiunque, soccorritori, volontari, agenti, e nessuno ha avuto il coraggio di dire loro che la mamma e il papà non erano tra 149 sopravvissuti dell’ennesima strage nelle acque del Mediterraneo.

La loro domanda, senza risposta, è la voce della tragedia del Ventunesimo secolo. Secondo i dati costantemente aggiornati del Viminale, sono 10.707 i migranti sbarcati fino a oggi nel nostro Paese a partire dal primo gennaio di quest’anno. Troppi, ancora. Per capire il fenomeno bisogna "richiamare l’attenzione sulla responsabilità prima e fondamentale di coloro che sono la causa di guerre, conflitti, sfruttamenti dei territori. Tutto questo però consapevoli che la questione non si può risolverla, ma la si può 'governare' guardando la realtà, ragionando con calma, senza trincerarsi dietro la paura".

Don Francesco Soddu (foto Caritas Sardegna)
Don Francesco Soddu (foto Caritas Sardegna)
Don Francesco Soddu (foto Caritas Sardegna)

A parlare è don Francesco Soddu, sassarese, 60 anni, una vita spesa tra gli ultimi in Sardegna e oggi direttore della Caritas italiana. Originario di Chiaramonti, dopo gli studi alla pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e il servizio di diaconato a Villasor, è diventato parroco nella cattedrale di Sassari. Poi la nomina a direttore della Caritas diocesana, nel 2005: "Ho cercato di costruire una rete di relazioni col sociale - ricorda don Soddu - indispensabile per il dialogo e gli interventi a favore dei più bisognosi".

Un lavoro che ha evidentemente colpito la Cei, che lo ha dunque nominato a capo della Caritas nazionale.

A Roma, don Soddu ha ripreso da dove ha iniziato, soprattutto sul fronte migranti: "La bussola che ci guida è il metodo della pedagogia dei fatti, che impegna la comunità a partire dai problemi, dai fenomeni di povertà, dalle sofferenze delle persone, dalle lacerazioni presenti sul territorio, per costruire insieme risposte di prossimità e solidarietà".

Lo sbarco dei migranti della Open Arms a Taranto (Ansa - Ingenito)
Lo sbarco dei migranti della Open Arms a Taranto (Ansa - Ingenito)
Lo sbarco dei migranti della Open Arms a Taranto (Ansa - Ingenito)

Com'è cambiata negli ultimi anni, se secondo lei è cambiata, la sensibilità degli italiani rispetto alla questione migranti?

"Le ferite aperte da una crisi economica tardivamente affrontata hanno accelerato processi di ripiegamento, di evaporazione delle reti sociali, di isolamento individuale e di enfatizzazione del sentimento della paura dell’altro. Nella percezione che gli immigrati rappresentino un problema c'è la sensazione di vivere in uno Stato di cui non ci si può fidare, oltre che ovviamente l’esposizione al rischio rappresentato dagli eventuali comportamenti criminali degli stranieri residenti".

Lo Stato c'è?

"Lo Stato italiano ha un problema storico sulla solidità delle proprie istituzioni. In particolare, la sfiducia nelle istituzioni che caratterizza da sempre gli italiani fa percepire, pure considerando analoghe difficoltà di altre nazioni europee, il fenomeno migratorio come minaccia per noi ingovernabile. C’é l’esigenza di ridurre la distanza fra il percepito e il reale".

Questa distanza è pericolosa?

"Gli stereotipi che affollano le menti di un numero crescente di persone sul tema dei migranti devono farci interrogare sul futuro di un Paese che talvolta sembra aver smarrito la bussola, in preda a un’isteria collettiva che, comunque, va compresa e non semplicemente stigmatizzata. Non posso tacere la mia apprensione verso la diffusa tendenza, a vari livelli, a costruire luoghi comuni sui migranti e su coloro che lavorano per accoglierli e tutelarli. Sarebbe difficile contare le parole d’odio che in Europa o in America stanno connotando il dibattito pubblico su questi temi. Un dibattito, peraltro, che viene alimentato quotidianamente attraverso una narrazione distorta".

Soccorsi ai migranti sbarcati a Lampedusa (Ansa - Guardia Costiera)
Soccorsi ai migranti sbarcati a Lampedusa (Ansa - Guardia Costiera)
Soccorsi ai migranti sbarcati a Lampedusa (Ansa - Guardia Costiera)

È giusto che la questione sia oggetto del dibattito politico o servirebbe maggiore compattezza nel governo?

"Una politicizzazione aspra della questione porta a contrapposizioni ideologiche più che a ragionare di possibili soluzioni. Si alimenta così un tipico approccio a bassa programmazione, per emergenze, per cui l’intervento tampone del decisore pubblico e il faro dei media si attivano in presenza di eventi disastrosi, di aggressioni eclatanti, esplosioni di proteste, ma non permettono di riflettere sulla complessità dei fenomeni e distolgono dai nodi veri. Che rimangono insoluti e lontani dal bene comune".

Come Caritas vi occupate anche dei migranti che arrivano tramite i corridoi umanitari. Quale percorso seguono per integrarsi?

"Per quanto riguarda la Caritas, lo stile dell’accoglienza è lo stesso già sperimentato con il progetto nazionale 'Protetto. Rifugiato a casa mia' che prevede l’accoglienza dei beneficiari in parrocchie, famiglie, istituti religiosi e appartamenti privati con il supporto di una famiglia tutor italiana (per ogni singolo beneficiario o nucleo familiare) che si occupa di accompagnare il percorso di integrazione sociale e lavorativa di ognuno sul territorio italiano garantendo servizi di qualità, corsi di lingua italiana, cure mediche adeguate etc".

Le procedure di sbarco della Aita Mari a Pozzallo (Ansa - Ruta)
Le procedure di sbarco della Aita Mari a Pozzallo (Ansa - Ruta)
Le procedure di sbarco della Aita Mari a Pozzallo (Ansa - Ruta)

Chiudere i porti per evitare le tragedie del mare servirebbe?

"La chiusura dei porti non risolve la questione migratoria, che va affrontata a monte. Bisogna affrontare la questione migratoria nella sua complessità, esaminando tutti gli aspetti della questione e cercando di fare insieme, a partire dall’Unione europea, i passi possibili, come impegnarsi per porre fine alle situazioni di guerra, di povertà, di persecuzione che sono spesso all’origine di massicce emigrazioni; potenziare le modalità di ingresso regolamentate e sicure, aumentare significativamente le quote di reinsediamento e rafforzare altre misure complementari, garantire a chi ha diritto allo status di rifugiato la necessaria accoglienza; favorire i ricongiungimenti familiari; accompagnare processi di integrazione".

Cosa significa accogliere e, in base alla sua esperienza, i sardi sono accoglienti?

"Accogliere presuppone la consapevolezza che ognuno deve fare la propria parte, in Sardegna come in qualsiasi altro luogo. Per quanto riguarda le persone della nostra amata Isola è a tutti noto lo spirito di accoglienza, tolleranza e rispetto dell’altro".

Torna spesso in Sardegna?

"Più o meno una volta al mese. La Sardegna, mia amata terra, vive la grande ingiustizia che sta caratterizzando il nostro tempo. È l’ingiustizia delle nuove povertà che nel Nord dell’Isola è più manifesto, essendo il territorio con il più alto tasso di disoccupazione che raggiunge il 40%. La perdita del lavoro non è solo un problema economico ma pone la persona in uno stato di grave perdita di dignità e di senso che non è facile recuperare o sostenere. Dunque la vicinanza nell’ascolto è la condizione che maggiormente siamo chiamati a vivere, pienamente immersi nella forza della preghiera al Dio della Giustizia e della Pace, facendoci strumenti di Speranza, dando soprattutto spazio all’animazione e la formazione dei giovani, poveri tra i poveri".

Angelica D'Errico

(Unioneonline)
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