La detenzione è stata “ingiusta” e dunque Stefano Binda, assolto in via definitiva dall'accusa di avere ucciso la studentessa 21enne Lidia Macchi, sua ex compagna di liceo e come lui militante di Cl, ha diritto a una riparazione.

Lo ha stabilito la quinta Corte d'Appello di Milano che ha accolto l'istanza del 53enne e ha liquidato, a titolo di "ristoro" 303.277,38 euro, ossia, come si legge nel provvedimento depositato stamane, 235,83 euro per ciascuno dei 1.286 giorni trascorsi in carcere, a cui si aggiungono 1.500 euro di spese che saranno versati dal ministero dell'Economia e delle finanze. "Ovviamente è contento ma, essendo di poche parole, quando gli ho riferito l'esito della decisione non ha detto altro" ha spiegato l'avvocato Patrizia Esposito che con il collega Sergio Martelli assiste Binda.

Bisogna ora attendere che il provvedimento diventi definitivo e poi attivare le procedure per riscuotere la somma, che non comprende però la richiesta avanzata dai difensori di rifusione anche del danno subito dalla madre e dalla sorella dell'uomo, per via dell'"impatto emotivo" e dell'"alone di discredito sociale" dovuto al suo arresto.

Per Lidia Macchi, uccisa con 29 coltellate nel gennaio 1987 e ritrovata morta in un bosco a Cittiglio nel Varesotto, non c’è ancora un colpevole: il caso è stato riaperto 7 anni fa dalla Procura generale di Milano che aveva avocato a sé l'inchiesta di competenza della magistratura di Varese.

Binda finì in cella il 15 gennaio del 2016 e vi rimase fino al 24 luglio 2019, quando in secondo grado venne cancellato l'ergastolo inflitto dalla Corte d'Assise varesina. Quando l'assoluzione fu confermata dalla Cassazione, chiese i danni allo Stato per essere rimasto in prigione nonostante la sua innocenza.

La sua estraneità al delitto è stata ribadita ancora una volta nelle 22 pagine depositate oggi e scritte dal giudice Micaela Curami laddove si puntualizza come la "sentenza assolutoria" di secondo grado "non abbia accertato alcun fatto che (...) attestasse comunque un comportamento gravemente colposo da parte sua, tale da lasciare supporre agli inquirenti che egli fosse coinvolto a pieno titolo (...) e che dovesse essere sottoposto a custodia cautelare" per il delitto.

(Unioneonline/D)

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