“Accuse assurde. Incredibili. Grottesche. Mostruose”.

Sono le parole con cui il cardinale Giovanni Angelo Becciu ha definito le contestazioni a suo carico nel corso di dichiarazioni spontanee al tribunale del Vaticano, per ribadire - spiegano i suoi legali Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo - le “finalità caritatevoli che hanno assistito e contraddistinto in ogni aspetto le erogazioni dei due contributi contestati dall'accusa”.

Nel suo intervento, il prelato sardo ha spiegato, sottolineano i suoi avvocati, “che il primo contributo, per 25mila euro nel 2015, richiesto dal Vescovo di Ozieri, servì a far ripartire la produzione di un panificio a vocazione caritatevole, ideato dalla Diocesi, d'intesa con la locale Caritas, andato distrutto in un incendio, nell'ambito del progetto d'inclusione sociale ‘Il pane degli ultimi’, grazie al quale oltre quindici lavoratori svantaggiati sono in grado di sostenere, da anni, sé stessi e le loro famiglie”.
“Il secondo contributo, per 100.000 euro nel 2018, fu erogato – proseguono i legali -, sempre a fronte di richieste del Vescovo di Ozieri, per sostenere la costruzione di un centro polifunzionale, denominato "Cittadella della carità", finalizzato a ospitare, fra l'altro, uffici Caritas, assistenza agli anziani e ai profughi. Tale centro, dopo una lunga fase di raccolta di fondi da parte della Diocesi di Ozieri, ha visto l'avvio dei lavori appena lo scorso 28 febbraio”.
“Tutto quello che il Cardinale sostiene è documentato da atti che abbiamo già provveduto a depositare”, continuano Viglione e Marzo. “Oggi si è così dimostrato, con la forza dell'assoluta evidenza, il corretto impiego delle somme gestite dalla Segreteria di Stato, con finalità uniche ed esclusive di carità. È stato così eliminato anche solo il sospetto di irregolarità conclamando l'innocenza che il Cardinale ha sempre mantenuto”.

LE PAROLE AI GIUDICI – Nelle sue dichiarazioni in aula, Becciu ha spiegato, rivolgendosi ai giudici: “Vi confesso che non mi è facile prendere la parola e difendere la mia onorabilità in questa Sede. Sono stato preceduto da un massacro mediatico senza precedenti. Presentato come il peggiore dei cardinali. Una campagna violenta e volgare. Accuse di ogni genere con un'eco mondiale. Sono stato descritto come un uomo corrotto. Avido di soldi. Sleale verso il Papa. Preoccupato soltanto del benessere dei miei familiari. Hanno insinuato infamie sull'integrità della mia vita sacerdotale, aver finanziato testimoni in un processo contro un confratello, essere addirittura proprietario di pozzi di petrolio o di paradisi fiscali”. Accuse che il cardinale ha appunto definito “Assurde e mostruose”.
“Viene da chiedersi chi tutto questo ha voluto e a quale scopo. Certo, contava demonizzarmi e distruggermi”, ha continuato Becciu. “Mi hanno ferito e colpito nel mio essere sacerdotale e nei miei affetti familiari. Ma non mi hanno piegato. No, sono qui a testa alta, con la coscienza pulita e difendo il mio diritto all'innocenza”.

E ancora: “Voglio dichiarare qui, subito, con la forza e la trasparenza della mia coscienza: non ho mai voluto che un euro, anzi un centesimo di cui ho avuto gestione o anche solo conoscenza, venisse distratto, mal utilizzato o destinato a fini che non fossero esclusivamente istituzionali. Ho sempre agito per il bene della Sede Apostolica e della Chiesa tutta”.

L’ACCUSA DI PECULATO – Il presidente della Corte Pignatone ha ricordato al cardinale che l'accusa di peculato si basa sul fatto che il conto su cui sono stati versati i conti è "presso la Spes Soc. Cooperativa" guidata da Antonino Becciu, fratello del porporato, e questo sarebbe "in disprezzo sia del diritto canonico sia delle specifiche disposizioni amministrative”.

"Le voglio dire – ha replicato Becciu - come avvengono queste operazioni della Segreteria di Stato. In genere partono da una richiesta di un vescovo, di una comunità religiosa o anche di laici. Noi in base alla fiducia riposta nel richiedente valutavamo la richiesta e poi inviavamo i contributi. Ma si chiedeva una relazione consuntiva a fine gestione, non entravamo nel merito, proprio sulla base della fiducia. I 25mila euro mi furono chiesti dal vescovo - allora era l'amministratore apostolico monsignor Sebastiano Sanguinetti – perché avevano messo su un panificio che doveva dare lavoro e un incendio aveva distrutto tutto. Poi erano pronti a recuperare ma mancava un macchinario. A Roma vidi la disponibilità dei fondi e chiesi al vescovo che mi disse di mandarli al conto dove in precedenza avevo già versato i 100mila euro del mio prestito. Io non so come vengono usati i fondi, c'è un vescovo, c'è un Dicastero che controlla, se c'è un 'fumus' di irregolarità sono loro che intervengono".

"Mi chiesero – ha proseguito Becciu - questa offerta, io vidi la bellezza dell'opera e inviai il denaro. Serviva per comprare un panificatore che era bruciato. Ora dicono che questa non è vera carità. Ma carità non è solo allestire una cena per i poveri”, ha poi concluso.

IL CASO MAROGNA – Nel corso dell’udienza, sempre rispondendo alle domande di Pignatone, Becciu ha detto che, sulla vicenda riguardante l'ex manager sarda Cecilia Marogna – che avrebbe svolto incarichi di “intelligence” per la Santa Sede - intende ancora avvalersi del "segreto pontificio".

(Unioneonline/l.f.)

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