Lui è convinto: il tumore al testicolo che lo ha colpito è stato causato dalle sue attività in missioni all’estero. Ora lo ha stabilito anche il Tar, che ha condannato il ministero della Difesa ad accertare il nesso di causa effetto tra servizio prestato per lo Stato e malattia che affligge un ex militare sardo. 

Una vittoria (finale?) alla fine di una lunga battaglia legale, 10 anni,  portata avanti dall’avvocato Angelo Fiore Tartaglia. Lo scontro si è svolto secondo un copione consolidato.

Eccolo. Il militare si ammala, chiede i danni allo Stato, la commissione medica esclude ogni responsabilità, senza motivare la decisione. Così parte il ricorso. Il tribunale amministrativo, per giurisprudenza consolidata, stabilisce che per negare il nesso di causalità tra lavoro in territori dove è ormai pacifico che sia stato usato uranio impoverito da una parte,  e tumori tra militari dall’altra, è necessaria una approfondita istruttoria medica. E tutto viene rimandato alla commissione militare. 

È successo anche in questo caso. Ma c’è un passo in più: la nuova valutazione è stata svolta  con lo stesso “approfondimento” della prima. Cioè: è stata superficiale come la precedente. E questo andazzo è stato stroncato dal Tar della Sardegna, che ha imposto di procedere con un nuovo consulto e di dare ragione al militare sardo malato. 

Il graduato era stato sottoposto a intervento chirurgico di orchifuniculectomia sinistra per seminoma. Aveva  partecipato a «numerose missioni internazionali di pace in Kosovo (anni 2000, 2002, 2004 e 2005), in Libano (anno 2007), in Afghanistan (anni 2009 e 2011) e Somalia (anno 2014)». Aveva anche dichiarato di «essersi spostato, a bordo di automezzi di vario tipo in territori devastati da bombardamenti, senza essere munito di alcun mezzo di protezione (tute, mascherine e guanti) in ambienti altamente inquinati da esalazioni e residui tossici derivanti dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti causate dall’impatto e dall’esplosione delle munizioni utilizzate per le operazioni belliche, tra le quali quelle con utilizzo di uranio impoverito».

Nel 2014 ha scoperto di essersi ammalato. Da allora ha combattuto, ma contro lo Stato che gli voleva negare ogni indennizzo. Pur avendo vinto un primo ricorso, con il Tar che nel 2019  ha imposto la nuova verifica, si è trovato di fronte a un nuovo diniego. 

Per i medici militari il tumore che ha colpito il militare sarebbe riconducibile a «fattori ignoti o non meglio specificati, tra cui il “criptorchidismo, il fumo, la Sindrome di Klinefelter, una storia familiare con questo tumore, l’esposizione a pesticidi e l’infertilità”, pur essendo tali fattori di rischio avulsi rispetto alla storia clinica ed anamnestica del ricorrente». 

Inaccettabile, per i giudici amministrativi. Che nei giorni scorsi hanno stabilito «l’obbligo per l’amministrazione di pronunciarsi favorevolmente sull’istanza del ricorrente, riconoscendo la sussistenza della causa di servizio, avendo il Ministero già usufruito della seconda possibilità per esercitare la propria discrezionalità». 

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