Titti Pinna, in aulala telefonata della libertà
"So Titti, so in Sedilo isto 'ene, mi ne so fuidu" (sono Titti, sono a Sedilo, sto bene, sono fuggito). Le prime parole pronunciate in sardo al telefono, con i familiari, da Giovanni Battista Pinna hanno fatto calare il gelo stamane nell'aula della Corte d'Assise di Sassari, dove si sta celebrando il processo contro Salvatore Atzas, 61 anni, e Natalino Barranca, di 68, i presunti carcerieri dell'allevatore di Bonorva.Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
La registrazione di quella telefonata arrivata alle 8.25 del mattino in casa delle zie di Titti a Bonorva, è stata fatta sentire ai giudici dal capitano Alfonso Musumeci, il comandante dei Carabinieri del Ros di Nuoro che svolse un ruolo attivo nelle indagini sul sequestro. L'ufficiale dell'Arma è stato ascoltato per circa due ore, in qualità di testimone, dal pm Gilbero Ganassi e dal collegio presieduto da Plinia Azzena.
LA CERTEZZA. Quella telefonata, che durò in tutto 4 minuti e 50 secondi, proseguì con una conversazione tra l'ex ostaggio e la sorella Maria. Quest'ultima per avere la certezza che fosse veramente Titti gli chiese (come aveva concordato con Musumeci) il nome di un animale che solo lei e Titti conoscevano e solo allora ebbe la prova che il fratello era libero. "Subito dopo la liberazione - ha ricostruito il capitano Musumeci - incontrai Titti all'interno della ditta Gmc di Sedilo. Era magro, con la barba lunga e tremava, era spaesato, ma mi disse di riconoscere il posto da dove era fuggito. Prima di farlo salire sull'ambulanza che poi lo portò all'ospedale di Nuoro Titti mi indicò con la mano l'ovile". Questo gesto venne filmato da un militare del Ros con un videotelefonino ed è inserito negli atti del processo, così come le immagini delle telecamere a circuito chiuso della Gmc che ripresero Titti uscire dall'azienda la mattina del sequestro e Salvatore Atzas entrare ed uscire nei giorni precedenti. Il processo è stato aggiornato a martedì 14 ottobre: in aula è attesa la deposizione di padre Pinuccio Solinas, il frate francescano che si propose come intermediario sin dall'inizio del sequestro.