Bauxite, alluminio, carbone, fanghi rossi. Il futuro del Sulcis passa ancora da questi quattro elementi, su cui Eurallumina vuole fondare la sua nuova vita.

Sul calendario della Rusal, proprietaria della fabbrica in coma da otto anni, c'è una crocetta sul calendario: 1 gennaio 2019, giorno in cui secondo il gruppo russo, maggior produttore di alluminio al mondo, gli impianti di Portovesme dovrebbero svegliarsi e riprendere a camminare.

L'investimento, di 185 milioni di euro, è pesante. Almeno quanto l'impatto - così sostengono le associazioni ambientaliste - che il progetto di rilancio avrà sul territorio del Sulcis, dove dagli anni Settanta le fabbriche convivono con uno dei paesaggi più belli della Sardegna.

IL PROGETTO - Nelle speranze di Eurallumina l'impianto sarà competitivo per i prossimi 25 anni e garantirà lavoro ad almeno 360 operai, più altrettanti impiegati nelle ditte d'appalto. Un miracolo, nella patria della disoccupazione.

Il problema è che per rimettere in moto la produzione servono due cose.

Primo: una nuova "centrale di cogenerazione" a carbone, per assicurare il vapore e l'energia necessari alla lavorazione della bauxite, da cui si estrae l'allumina.

Secondo: l'ampliamento del bacino dei fanghi rossi, lo stesso che negli anni ha solleticato l'interesse della magistratura - una parte è ancora sotto sequestro - e degli ambientalisti, che lo ritengono il simbolo di tutti gli inquinamenti.

LA PROTESTA - "Piuttosto che creare alternativi percorsi di lavoro per migliaia di disoccupati e cassaintegrati di tutte le industrie nate già obsolete e poco remunerative, l'Eurallumina ripropone lo stesso vecchio e superato modello di sviluppo", sostengono Maria Antonietta Mongiu, Fausto Pani, Franco Masala e Sergio Vacca, ovvero la presidentessa e i referenti regionali del Fai, fondo per l'ambiente italiano.

Il progetto è l'emblema del "sottosviluppo così nocivo a uomini e paesaggi, che non ha creato duraturi posti di lavoro ma in più si è rivelato un autentico scempio culturale e ambientale". La posizione è simile anche a quella di altri movimenti.

E qualche perplessità è arrivata anche dal versante istituzionale: la soprintendenza ai Beni paesaggistici ha firmato l'unico parere negativo (e non vincolante) nella conferenza di servizi, conclusa positivamente a febbraio.

L'UNICO NO - Il soprintendente Fausto Martino sostiene che le intenzioni del gruppo Rusal siano in contrasto con il Piano paesaggistico regionale.

"Nel Ppr l'area viene definita 'di recupero ambientale'", ricorda il Fai citando proprio la relazione di Martino sulla riattivazione dell'impianto, "e prescrive il divieto di interventi rivolti ad aggravare le condizioni di degrado".

L'argomento è delicato, e lo si capisce anche dal fatto che la Giunta regionale in questo momento preferisce non esprimersi sul progetto: dall'assessorato all'Ambiente fanno sapere che gli uffici stanno esaminando le integrazioni depositate dal gruppo russo.

Per quanto riguarda l'assessorato all'Industria, invece, la benedizione della proposta fatta da Eurallumina è arrivata nel 2016, con il Piano energetico ambientale: la quota di energia ricavata da combustibili fossili può essere aumentata - perché le emissioni di Co2 sarebbero sotto controllo, secondo i dati in possesso della Regione - e dunque la centrale a carbone può essere realizzata.

L'ATTESA - La delibera sulla valutazione di impatto ambientale del progetto potrebbe arrivare entro giugno: da poco la procedura ha tagliato il traguardo dei mille giorni - è in corso dal 2014 - tra sospensioni, richieste di chiarimenti e incontri pubblici.

Il rischio, dicono a denti stretti gli operai, è che senza risposte a breve scadenza la Rusal decida di fare marcia indietro.

Michele Ruffi

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