A risolvere il caso stavolta sono stati un microscopio e una provetta. Capaci di individuare, a distanza di vent'anni, uno dei presunti autori della tentata rapina al Jolly market di Pula, conclusa con un colpo di pistola sparato alla tempia di Paolo Atzeni, all'epoca 38enne figlio del titolare dell'attività.

DNA Il confronto del dna con capelli e saliva trovati in un passamontagna abbandonato dai tre uomini armati e mascherati a Pula il 7 dicembre del 1990, ha portato all'arresto di Roberto Orrù, di Assemini, oggi 37 enne sbandato, all'epoca addirittura minorenne. In realtà, a parte il colpo di scena firmato dai carabinieri del Ris in divisa e camice bianco, dietro quest'inchiesta c'è un lungo lavoro di intelligence curato dal reparto investigativo del Comando provinciale di Cagliari, guidato dal capitano Roberto Scalabrin. «Perché le indagini sui delitti irrisolti - spiega l'ufficiale - non vengono abbandonate mai».

DUE INDAGATI Gli inquirenti, coordinati dal pubblico ministero Alessandro Pili, sono convinti di aver individuato anche gli altri due banditi del commando entrato in azione vent'anni fa esatti. Risultano indagati per tentata rapina e omicidio (in concorso tra loro) anche Sandro Pireddu e Mauro Niola, asseminesi: il quadro complessivo dell'indagine non ha però portato gli inquirenti a chiedere per Pireddu e Niola la custodia cautelare in carcere, almeno per il momento.

L'ARRESTO Le manette ai polsi di Roberto Orrù sono scattate lunedì sera. Era uscito dal carcere di Buoncamino soltanto l'estate scorsa, dopo aver scontato l'ennesima condanna di una vita trascorsa in un quasi continuo vai-e-vieni dal carcere. I carabinieri l'hanno trovato in una baracca nei pressi dello stagno di Santa Gilla. Non ha opposto resistenza ai militari, ha pensato al consueto arresto per il solito piccolo reato. Quando i carabinieri gli hanno annunciato la nuova accusa, ha negato di essere un assassino e di aver preso parte a quella rapina. Di diverso avviso gli inquirienti, capaci di portare prove concrete sui tavoli del sostituto procuratore Anna Cao e del giudice per le indagini del Tribunale minorile, Maria Angioni. Il sette giugno del 1990, all'epoca dei fatti, il presunto colpevole non era ancora maggiorenne.

L'INDAGINE Ma come si è arrivati a questo risultato investigativo, degno dei migliori telefilm americani, e invece stavolta cruda realtà? Il capitano Scalabrin non vuol svelare più di tanto il cuore delle indagini che saranno oggetto di un prossimo processo. Si è limitato a dire che in questi casi le indagini procedono anche sottotraccia e negli anni si possono arricchire di diversi particolari. Nella fattispecie, Roberto Orrù è stato condannato per due rapine commesse nella cerchia metropolitana di Cagliari il giorno prima e quattro giorni dopo il tragico assalto al Jolly market di Pula. Da questi controlli incrociati è emersa una pista investigativa: a compiere minacce e blitz armati analoghi nei modi e nei tempi, potrebbe essere stato lo stesso commando. Compatibili anche i proiettili trovati nel teatro di un'altra rapina con l'arma che ha ucciso Paolo Atzeni.

IL RIS La prova ritenuta decisiva dagli inquirenti, però, è quella arrivata dai laboratori del Reparto Investigazioni Scientifiche dei carabinieri. Quel che vedono oggi i microscopi elettronici non era in grado di essere esaminato vent'anni fa. Il progresso scientifico ha consentito di confrontare il materiale organico recuperato in un passamontagna trovato a pochi metri dall'auto usata per la rapina e data alle fiamme la sera stessa, con il tessuto dei tre sospetti, Roberto Orrù, Sandro Pireddu e Mauro Niola. Match okay al cento per cento , ha stabilito il computer per Orrù, finito in carcere.

LO SBANDATO Se nei telefilm spesso i colpevoli di un vecchio delitto irrisolto a distanza di tanto tempo si sono rifatti una vita e vent'anni dopo il crimine sono diventati onesti padri di famiglia in giacca blu, insospettabili, in questo caso Roberto Orrù ha seguito un percorso diametralmente opposto. Disperato era prima, ancora più disperato è adesso. La sua sarebbe sempre stata in questi anni un'esistenza fatta di espedienti, da balordo di strada, continuamente dentro e fuori Buncammino e le comunità di recupero per tossicodipendenti. I carabinieri hanno impiegato qualche giorno per trovarlo: da quando aveva lasciato il carcere cagliaritano, l'estate scorsa, non aveva né telefonino cellulare, né punti di appoggio, né fissa dimora. Ogni sera tornava a dormire in una baracca in prima fila a Santa Gilla. Al freddo e al gelo di un riparo di fortuna e di quel che sa la sua coscienza. (p.c.)
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