Diciannove anni, bella e consapevole di esserlo, pazza per capre e cavalli: è bastata una foto su Facebook (lei, maglietta scura attillata, pantaloni di velluto nero e scarponi, tiene per un corno una capra) per raccogliere 8.500 "mi piace" e attirare l'attenzione di siti, giornali, tv.

In poche settimane Elisa Piga, da Serdiana, è diventata la "sexy pastora", il "bel volto della pastorizia isolana", la "ragazza sarda che ama la campagna".

Lei ne sorride: "Non mi aspettavo tutti quei like e tutti quei commenti".

Tanti apprezzamenti dagli utenti maschi. Qualcuno esplicito: "Nessuno volgare".

Le donne, invece: "Ho letto di tutto: che non è vero che faccio la pastora e sicuramente sono una modella, che in campagna i capelli sciolti non vanno bene, che ho le unghie troppo lunghe per una che lavora davvero".

Le mostra, le unghie: lunghe no, curate sì: "Ci tengo, alle mani: non voglio rovinarle. Mungo, certo, ma usiamo prevalentemente la mungitrice elettrica. Hanno avuto da ridire pure sulla catenina: ma è quella del battesimo, la porto da sempre".

La verità è che molti fanno fatica a credere che una ragazza come lei possa appassionarsi all'allevamento: "Ma io sono fatta così".

"Così" vuol dire che in discoteca non andrebbe manco morta e in città solo per lo stretto necessario, adora feste paesane e canzoni sarde, i suoi cantanti preferiti sono Maria Luisa Congiu e i Tazenda, l'unica volta che è stata al cinema era per vedere il film "Bandidos e balentes". La maggior parte dei suoi coetanei ha altri gusti: "Ma dipende da dove nasci". E lei, terza di tre figli, è nata in una famiglia in cui papà (64 anni, di Ballao, operaio alla Saras) ha tenuto vive le sue tradizioni e mamma (56, di Arzana) le sue ("per esempio i culurgiones").

La mungitura
La mungitura
La mungitura

L'intervista avviene su un'altura che domina Soleminis. Braccio appoggiato a una recinzione, Elisa tiene d'occhio una cinquantina di capre. Le ama, dice, perché sono curiose e pulite, "più delle pecore".

A molte ha dato un nome: "Pintura è quella di tanti colori. Gatto ha le orecchie dritte. Canuda è la grigia. Occasionera quando vuol essere munta ti dà dei colpetti con la testa".

Molte delle sue capre hanno malformazioni alle mammelle: "Sono quelle che di solito vengono fatte macellare. Io però non voglio. Così diventano le mie".

Si affeziona: "E non dovrei. Poi qualcuna muore e ne soffri. L'anno scorso ne abbiamo perse parecchie per la lingua blu".

Gli animali le piacciono da sempre: "A Serdiana, in giardino, abbiamo sempre avuto conigli, cani e gatti. Da bambina portavo in casa tartarughe, uccellini, perfino una capretta che, crescendo con noi, si era convinta di essere umana".

L'allevamento l'ha scoperto tre anni fa, quando si è fidanzata con Antonio, pochi mesi meno di lei: "Mi ha chiesto se volevo sfilare con lui a una festa paesana. Poco dopo, ci siamo innamorati. Un giorno mi ha portato quassù. Ho visto le capre e ho esclamato: "Che belle". E lui: "Sono le mie"". Da allora Elisa aiuta il suo ragazzo, che è dovuto crescere in fretta e da tempo si occupa del bestiame di famiglia: capre, pecore, mucche, maiali. E i cavalli: "Li teniamo liberi in un terreno. Sono addestrati ma se vogliamo cavalcarne uno dobbiamo rincorrerlo e catturarlo con una fune. Come in Texas".

Il suo orgoglio? "In campagna non mi tiro indietro davanti ai lavori più pesanti. E conto come un maschio".

L'aspetto più duro? "Il momento in cui bisogna scegliere quali agnellini mandare al macello e quali tenere". Mangia la carne, ma non di capra. Né di cavallo: "Per me è un animale sacro".

A Cagliari (dove ha frequentato il liceo linguistico all'Eleonora d'Arborea e si è diplomata in ragioneria all'istituto privato Isi), le compagne di scuola la guardavano come una marziana: "A qualcuna faceva schifo che stessi "in mezzo alle bestie". Ma per me è bellissimo: hai continuamente da fare, anche nei giorni di festa, ma il lavoro è sempre diverso, e poi stai all'aria aperta".

Alzarsi presto pesa? "Lo adoro. E la sera, quando torno a casa, sono stanca. A Pasqua, invece, ho lavorato un paio di giornate in un bar, a Senorbì, e a fine serata rientravo a casa non stanca ma stressata. Dopo essere tornata in campagna ho capito che quel tipo di impiego non fa per me". L'allevamento, però, economicamente non dà certezze: "Il latte praticamente non viene pagato. Sì, facciamo il formaggio, ma neanche quello ha un prezzo giusto, per la fatica che richiede. È dura. In tasca non ti resta niente".

Così, non è detto che non ci torni, dietro il bancone di un bar: "I soldi servono. Vogliamo migliorare. Vorrei comprare delle capre selezionate, dividere il gregge in più gruppi e avere latte tutto l'anno".

Marco Noce
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