Il figlio Alessandro Ambu ha patteggiato 3 anni e mezzo chiudendo subito il procedimento giudiziario, la madre Ermelinda Puddu ha preferito andare avanti col rito abbreviato ma la sostanza non è cambiata: anche lei sconterà un’identica pena per decisione, ieri a Cagliari, della giudice delle udienze preliminari Gabriella Muscas. È la chiusura, a meno di ricorsi in Appello, della vicenda riguardante i due finti santoni di Selargius che, millantando il possesso di capacità sensoriali inaccessibili ai comuni mortali («vedo i cavalli neri che annunciano la tua morte», diceva Ambu a un’amica di preghiera della madre, indicata quale “manovratrice” delle imprese del figlio), avevano approfittato delle debolezze di due persone di 61 e 73 anni, entrambe di Quartucciu, ottenendo quasi 17mila euro. Madre e figlio, 71 e 42 anni, erano stati denunciati per estorsione e poi arrestati tra l’ottobre e il novembre del 2020 dalla Polizia. Lo scorso marzo la prima sentenza, riguardante Ambu; ieri la tappa finale. L’imputata, difesa dall’avvocato Davide Mascia, dovrà anche pagare 21.600 euro complessivi di provvisionale alla coppia raggirata, rappresentata dai legali Roberto Cao e Simone Vargiu.

Finti pericoli di morte

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori e dal pubblico ministero Andrea Massidda attraverso testimonianze, sequestri e accertamenti della polizia giudiziaria, Puddu tra l’ottobre e il dicembre del 2019 individuava i “bersagli”, li metteva in contatto col «santone», cioè il figlio, e cercava di convincerli a fare quel che diceva lui. Ambu a sua volta «prospettava» loro «il pericolo immaginario di morte» e «altre gravi sciagure» anche per i familiari nel caso non sborsassero un’adeguata somma di denaro utile a togliere il malocchio e salvarsi. Timore che spingeva le vittime a pagare quanto chiesto.

La vittima e la truffatrice
La vittima 71enne dopo l’arresto di Puddu aveva rivelato all’Unione Sarda cosa aveva subito. «Ho iniziato a frequentare la casa di quella che credevo fosse un’amica per recitare il rosario e le ho fatto tante confidenze» che però la donna aveva usato contro di lei. Infatti «un giorno arrivò una telefonata a interrompere la recita del rosario: era Giorgio», nome col quale si presentava Ambu, «che conosceva le mie preoccupazioni e la mia sofferenza. Mi disse che avevo una fattura e che me l’avrebbe tolta». Con un passato doloroso, la vittima si era convinta «che fosse l’unico modo per uscire da questa situazione. Nella mia testa avevo fatture di morte e dovevo proteggere me stessa e i miei familiari. Disse che il mio secondo figlio avrebbe avuto un incidente mortale e mi chiese 1.300 euro per salvarlo. Mi feci prestare i soldi da mia sorella senza svelarle il motivo». Le richieste di denaro arrivavano ogni settimana, sempre più alte. La donna si rivolse ai familiari e, disperata, aprì tre finanziarie. «Disse che vedeva la mia nipotina di 18 mesi volare in cielo, che il mio compagno sarebbe morto in bicicletta. Mi chiese 5 mila euro, quindi altri 6 mila». Poi le confidenze coi parenti e l’intervento della Polizia. «Nessuno deve subire quello che ho passato io. Abbiate il coraggio di denunciare ».
An. M.

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