Nel poligono militare di Capo Teulada forze armate arrivate da tutto il mondo, Stati Uniti compresi, sono impegnate nei giochi di guerra e nelle esercitazioni. Combattimenti simulati: spari, lanci di missili, sbarchi e quant’altro. Un grande dispiegamento di uomini e mezzi. Il vantaggio per le attività del centro storico di Teulada, a pochi chilometri dalla base? Nullo. «Non hanno comprato nemmeno un panino», dicono i titolari aziende commerciali e artigiane del paese. Né un panino, né alcuna altra fornitura. Eppure da un mese circa tremila uomini - stando alle dichiarazioni ufficiali - sono accampati nei venti chilometri di costa recintati dal 1950. Ma per il paese il ritorno economico non esiste. Ed è anche uno degli argomenti della compagna elettorale di questi giorni: a fine mese quattro candidati sindaci si contenderanno le poltrone in Municipio.

La procedura

Molto tempo prima dell’arrivo dei militari alla base di Teulada, i Comandi militari nazionali e internazionali fanno le richieste di informazioni sul luogo di destinazione, poiché all’arrivo nel Basso Sulcis necessitano di forniture di ogni tipo, energia, alimentari, logistiche e via dicendo. Si tratta di procedure informative scontate e ordinarie. «Eppure noi – spiegano Antonio Piras, 86 anni, e Francesco Montisci, 73, titolari di due market in paese - non abbiamo ricevuto alcuna richiesta di preventivo per acquisto o fornitura o solo la disponibilità a partecipare a bandi per i reparti in arrivo: i militari si riforniscono in ogni dove meno che a Teulada».

Le reazioni

Sulla stessa linea il titolare del panificio più antico di Teulada, Paola Virdis, del 1953, e di Pasquale Brancasi, del 1978, del panificio Niko’s: «Non abbiamo nessun ritorno economico dalla presenza di tremila militari della Nato a Teulada per così tanto tempo». Va appena appena meglio al proprietario del ristorante Rosa e Cadira, Efisio Albai, 49 anni: «Quattro-cinque militari al giorno si presentano nei nostri tavoli, sono delle forze armate straniere». Stessa affluenza quasi insignificante anche da Carlo Etzi, 37 anni, del ristorante Ex Centrale. È un coro che desta allarme sociale. «Alle promesse di integrazione tra militari e civili – proseguono I titolari delle attività teuladine - non corrispondono i fatti, di fatto neppure un euro viene speso nel Comune espropriato. Quando ci sarà il riequilibrio, il ritorno economico? I discorsi sono quelli risaputi, le solite frasi fatte». La richiesta è quella di essere inseriti negli elenchi delle aziende che riforniscono i militari che sparano a Teulada. Un fiume di denaro che evidentemente va altrove. «Il paese – proseguono Paola Virdis e Pasquale Brancasi - è ignorato ed evitato, molti non ne conoscono l’esistenza e ripartono convinti che Teulada sia solo il luogo in cui si spara. Perché accade?» .

L’accusa

Sotto accusa, neppure troppo velatamente, l’insufficiente rapporto di collaborazione tra le amministrazioni comunali che si succedono e gli organi dirigenti dell’Esercito: c’è una contraddizione evidente tra i buoni rapporti che il paese ha con il personale della base è l’assenza totale di ricadute, il famoso e sconosciuto indotto, atteso dalla presenza militare. Gli imprenditori non si accalorano, ma si chiedono da dove origini l’ostruzionismo economico che si protrae da troppo tempo. Lo sconcerto si rivela per quello che è realmente: la richiesta accorata che si ponga fine a una guerra mai dichiarata tra Poligono e amministrazione e si torni a parlare, magari ripartendo dalle premesse rimaste senza seguito, poste dalla prima Giunta del sindaco Gianni Albai: «Teulada ha diritto ad avere uno status acclarato di partnership privilegiata con il ministero della Difesa». Invece oggi si ragiona tra le rovine commerciali di Teulada.

Salvatore Loi

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