Il pericolo è messo nero su bianco: «modifica disciplinare del Pecorino Romano Dop». Non una modifica qualsiasi, ma il più delicato crocevia per il primo dei prodotti agropastorali dell’Isola. La scelta è campale: continuare a produrre il “Pecorino” con il latte delle pecore di «razza sarda», oppure stravolgere qualità e sistema economico con la “libera” introduzione nel territorio sardo di “pecore straniere”, devastando la qualità del prodotto sardo, facendo di fatto morire la Denominazione di Origine Protetta.

Ora della verità

L’ora della verità è già fissata: ore 10.30 di martedì 3 dicembre a Borore. A riunirsi, per l’ennesima volta, con lo stesso ordine del giorno di due anni fa, il 12 gennaio 2022, è il parlamentino dei soci del Consorzio. Una convocazione che rischia di riaccendere una guerra che sembrava sopita o addirittura archiviata per sempre: quella per la difesa della «razza sarda» come pecora esclusiva per la produzione del latte per il “Pecorino Dop”.

Allarme “straniere”

In ballo c’è la più rilevante economia dell’Isola, considerato che l’eventuale introduzione nella produzione isolana delle razze Lacon, francesi, e Assaf, israeliane, avrebbe un solo risultato: annientare le qualità organolettiche esclusive del Pecorino prodotto nell’Isola, facendo venir meno non solo le caratteristiche essenziali della Denominazione Protetta, ma assestando un colpo letale al pastoralismo sardo. Le pecore “straniere”, definite anche le “pecore-mucca”, infatti, sono destinate alla produzione «in stalla», con un quantitativo di latte certamente superiore, ma con una qualità che non ha niente a che vedere con quello prodotto dalla “razza sarda”, da sempre concatenata alle variegate qualità dei pascoli sardi.

Furbetti del latte

Il rischio che questo stravolgimento si possa consumare dipende tutto dall’applicazione dell’articolo 5 del Disciplinare di produzione del Pecorino già votato dall’assemblea a gennaio del 2022: «Per la produzione del latte destinato alla trasformazione in Pecorino Romano DOP le razze ovine ammesse e loro incroci, considerate come “tipi genetici riconducibili a razze locali e loro incroci” sono le seguenti: Razza Sarda, compresa la sub-popolazione Nera di Arbus; Razza Vissana; Razza Sopravissana; Razza Comisana; Razza Massese; Razza Pecora dell’Amiata». Oltre alla pecora di «razza sarda», che in Sardegna raggiunge il 96% di quelle allevate, nella lista positiva sono contemplate anche quelle provenienti da micro-areali della Toscana e del Lazio. Quel che succederebbe nel caso in cui non si attuasse la “lista positiva” o addirittura venisse revocata da un nuovo voto è messo nero su bianco nelle tabelle esplicative ufficiali relative alle modifiche: «In caso di mancata approvazione, si lascia libertà di allevamento per le razze lattifere non autoctone». Sino agli anni scorsi non c’era stato bisogno di introdurre una “lista positiva” di razze abilitate a produrre il latte per il “pecorino” DOP proprio perché nessuno aveva fatto l’azzardo di violare quella regola non scritta sul rispetto della “razza sarda”. Negli anni, però, qualche “furbetto” ha inserito, o tentato di farlo, nel mercato quantitativi di latte provenienti dalle razze “Assaf” o “Lacon”, quelle straniere, mettendo a rischio qualità e produzione lattiero-casearia. L’esigenza di “blindare” la «razza sarda», ammessa alla produzione esclusiva del pecorino insieme a sub-razze territoriali, è stata, dunque, già sancita con un voto ampio dei soci già a gennaio del 2022. La scelta di introdurre la «lista positiva» delle razze riveste un carattere strategico proprio ora che la competizione mondiale subirà gli scossoni commerciali della seconda era Trump: radicare la produzione tipica di uno dei formaggi più antichi e più conosciuti al mondo nelle aree di produzione indicate nel disciplinare vigente. Un radicamento territoriale ora più che mai decisivo per salvaguardare la biodiversità, garantendo anche la sopravvivenza di razze in via di estinzione da sempre destinate alla produzione di un latte dalla cui trasformazione si ottengono formaggi di altissima qualità, apprezzati in tutto il mondo. Qualcosa, però, dal gennaio 2022, è accaduto: domani, infatti, i Consorziati, a Borore, saranno costretti, salvo colpi di scena, da non escludere, a “rivotare” sull’introduzione o meno della «lista positiva». Il rischio, che in molti temono, è legato a possibili “manovre” occulte messe in campo da “personaggi” o organizzazioni potenti che punterebbero a modificare gli equilibri interni al Consorzio, tutti a favore delle “razze straniere”, con l’intento nemmeno troppo velato di far arrivare in Sardegna il latte di provenienza estera. Un’ipotesi devastante, funzionale solo a speculazioni economiche di potentati lattiero-caseari, sardo-continentali, in grado, però, di mettere spalle al muro l’intero comparto produttivo della Sardegna.

No ai formaggi “copiati”

Un danno senza precedenti per i pastori sardi e per la biodiversità, intesa come fattore concorrenziale essenziale per il futuro dell’Isola. La «lista positiva» è, di fatto, l’unico strumento che consente, insieme ad azioni di tutela, spesso latitanti, di accrescere la tradizione produttiva, quella sarda prima di tutto, evitando che la stessa venga replicata altrove, magari nei paesi dell’Est, dando vita a formaggi “copiati” e concorrenti. In questo caso si tratterebbe di affermare, ancor prima di un’esclusiva giuridica, una “esclusiva naturale”, ottenibile solo con la “caratterizzazione”, in via esclusiva, delle razze di pecora destinate alla produzione del latte.

Votazione “dimenticata”

Ora su questo percorso di valorizzazione e tutela del Pecorino si abbatte quest’ennesima convocazione per riapprovare o meno una «lista positiva» già votata due anni fa dalla stessa assemblea con l’80% dei voti. In gioco c’è, dunque, l’introduzione di sistemi intensivi di razze aliene-straniere, capaci di portare alla sostanziale estinzione della tradizione pastorale della Sardegna. I risultati sarebbero devastanti: ci sarebbe l’incremento dell’offerta di latte da trasformare con il conseguente abbassamento verticale del prezzo; i pastori, fermi restando gli alti costi della produzione, si troverebbero a spuntare prezzi bassi per il latte e il sistema salterà.

Pastori pronti alla rivolta

Non è un caso che i «pastori sardi senza bandiera» lo scrivono a chiare lettere: «Non siamo disposti a mettere a rischio il nostro futuro per l’avidità di pochi che vorrebbero sfruttare il momento favorevole per inondare il mercato di Pecorino Romano prodotto con latte di razze estere importate. Siamo pronti ad organizzare nuove forme di protesta di cui sicuramente i trasformatori saranno costretti a tenerne conto, come le esperienze del passato, non tanto remoto, dovrebbero aver insegnato». Firmato Gianuario Falchi, Nenneddu Sanna, Mario Carai e Fabio Pisu, i nomi della Rivolta del latte. Domani la resa dei conti.

Mauro Pili

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