Uno studio che mette sotto la lente d’ingrandimento le “cicatrici” del territorio colpito dal terribile rogo nel Montiferru del 2021.

L’incendio più vasto divampato quell’anno in Italia, e uno dei più impressionanti che ricordi l’Isola con 12mila ettari di pascoli, boschi e arbusteti andati in fumo, aziende agricole e zootecniche devastate, animali d’allevamento e fauna selvatica decimati.

Un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’Università di Cagliari, e dell’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), ha infatti indagato, rispetto alla severità del danno verificatosi nelle diverse aree interessate, la risposta della vegetazione naturale a un anno dall’incendio, per capire in che modo e con quale velocità la “ferita” aperta si stia rimarginando.

Lo studio, intitolato “Short-term effects and vegetation response after a megafire in a Mediterranean area”, è stato pubblicato lo scorso 19 dicembre sulla rivista scientifica Land ed è ora liberamente accessibile sul web.

Si tratta del primo studio scientifico sugli effetti del rogo nel Montiferru pubblicato su una rivista internazionale, ed è uno dei primi tentativi di quantificare la risposta a breve termine della vegetazione dopo un megaincendio – così si definisce un rogo quando la vegetazione interessata supera i 10mila ettari, ndr – in un paesaggio agro-silvo-pastorale tradizionale mediterraneo.

L’analisi, che ha visto l’integrazione tra dati satellitari e rilievi sul campo realizzati in 195 siti di campionamento, si è concentrata principalmente sulle prime fasi di ripresa della vegetazione naturale con l’obiettivo di valutarne la resilienza.

La ricerca ha dimostrato la notevole capacità di ripresa naturale della vegetazione su quasi tutta l’area, e l’importanza degli usi estensivi e tradizionali del territorio per la resilienza del paesaggio.

Lo studio ha, inoltre, messo in evidenza zone più sensibili che meritano maggiore attenzione.

«In alcune aree – spiega Ivo Rossetti, fra gli autori della ricerca, a Unionesarda.it – la ripresa della vegetazione risulta più stentata o addirittura assente, esponendo il suolo a un maggiore rischio di erosione. Si tratta delle zone ai bordi dell’area colpita dagli incendi, dove non si è notata una rigenerazione».

C’è poi l’allarme per alcune specie vegetali legate ad habitat di particolare valore naturalistico e che non sono state ritrovate durante il monitoraggio, indicando una possibile perdita locale di biodiversità.

«Tasso e agrifoglio – precisa Rossetti – le specie al momento non ritrovate durante i monitoraggi sul campo. Si tratta però di analisi a breve termine e dunque la speranza è che possano ricomparire nel medio e lungo termine».

Altre specie, invece, si sono diffuse rapidamente in ambienti dove prima erano meno abbondanti, dimostrando capacità di avvantaggiarsi delle condizioni create dal passaggio del fuoco. Con alcune criticità da considerare. «Nei pascoli – aggiunge ancora Rossetti – è diventata dominante la felce aquilina, una specie tossica e che può creare problemi al bestiame». 

(Unioneonline/v.l.)

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