La giurisprudenza e diverse sentenze della Corte di Cassazione sull’infarto del miocardio non lasciavano spazio a dubbi. Tanto che la difesa era certa dell’assoluzione per il medico Maria Giustina Camedda. Un proscioglimento che puntuale è arrivato questa mattina al Tribunale di Oristano: la dottoressa di Cabras non ha avuto alcuna responsabilità per la morte di un paziente, Marco Usai. Si è concluso così un lungo e combattuto processo, in cui il pubblico ministero Daniela Muntoni aveva chiesto la condanna a due anni e otto mesi, ma il giudice Modestino Villani ha accolto la richiesta di assoluzione sollecitata dall’avvocato difensore Gianfranco Siuni.

L’INCHIESTA – Erano stati i familiari di Marco Usai, morto nell’agosto 2009, a far scattare l’inchiesta. L’uomo era deceduto tre giorni dopo essere stato visitato dalla dottoressa Maria Giustina Camedda che, proprio in quel periodo, stava sostituendo il medico titolare dell’ambulatorio di Santa Giusta. I familiari, parte civile con l’avvocato Marcello Sequi, alcuni mesi dopo presentarono la denuncia e partirono gli accertamenti. Secondo la Procura, la morte sarebbe stata causata da un infarto, che sarebbe stato già in corso al momento della visita ma il medico non lo avrebbe riconoscuto.

IL PROCESSO - Durante il dibattimento si è cercato di accertare se davvero la diagnosi potesse essere fatta in quella visita e se sia stato effettivamente un infarto a causare la morte di Usai. Ci sono stati momenti di tensione e forti scontri tra le parti, in particolare tra i periti. Tutti avevano concordato sull’impossibilità di stabilire la causa della morte attraverso l’autopsia, fatta molto in ritardo. Il professor Antonello Ferreri, consulente del pubblico ministero, e il dottor Francesco Serra, consulente per la parte civile, avevano sostenuto la tesi dell’infarto ribadendo però l’impossibilità di stabilire il momento precisio in cui era insorto. Di parere opposto il professor Francesco Paribello, consulente della difesa: non c’era un dato clinico preciso per poter attribuire la morte a una patologia specifica. La difesa aveva anche sottolineato come il paziente, dopo la visita, avesse continuato a fare la sua vita normale, senza accusare particolari problemi. «L’operato della dottoressa è stato pienamente lecito – ha commentato l’avvocato Siuni – non c’è giudice che non l’avrebbe assolta. Ero così certo che lo avevo persino preannunciato alla mia assistita».

(Valeria Pinna)
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