Monte Linas, la stagione dell'olio buono
Se è vero che i villacidresi, al momento dell'addio, vanno a occupare con la loro anima la cavità di un ulivo, quest'anno erano dello spirito giusto. Devono averci messo una buona parola anche loro, perché da almeno sei anni non capitava che la stagione sotto il monte Linas fosse benedetta da condizioni climatiche così propizie: da S'Oddu 'e pani a Bassèla la produzione sarà superiore del quaranta per cento all'anno scorso. Di LELLO CARAVANOPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Olive sane, olio eccellente (ovviamente per chi lo sa fare). Non ci sono tracce della mosca assassina, l'insetto che può mandare in malora un anno di lavoro: la siccità estiva ha raggrinzito i frutti proteggendoli dai parassiti. Nei tancati si lavora sodo, gli alberi sono carichi, scale che si arrampicano sui fusti, teli sdraiati per terra. È il momento della raccolta, con le macchine o a mano, secondo tradizione. Le drupe sono pulite, cariche di sostanza, verdi o già nere, segno della maturità. L'olio di Villacidro per decenni ha nutrito Cagliari, il Campidano e mezza Sardegna, condito i piatti delle cucine contadina e di città, è finito nelle bottiglie di rinomate marche nazionali, sinonimo di purezza e di sapore: forte, intenso, inconfondibile fragranza di carciofo, quello spinoso ovviamente, che cresce in pianura, poco distante.
OLIVETO BIOLOGICO Sergio Pibiri ha cominciato la raccolta da dieci giorni, la completerà a febbraio. Ha appena prodotto l'olio nuovo, giallo-verde, carico, profumato, bassissimo grado di acidità. I 120 alberi di Cortirisoni hanno superato il mezzo secolo di vita, li innestò il padre Angelo con i ciocchi di olivastro portati nelle bisacce a dorso di cavallo dalle colline di Serr'e Ollastru. I rami sono carichi, arrivano fino a terra, gli alberi sono alla giusta distanza, non si intrecciano. È un oliveto razionale, tutto biologico, le ecotrappole catturano i maschi delle mosche, la raccolta si fa con i pettini a mano per non danneggiare né piante né olive. Da quasi venti anni Pibiri ha smesso di occuparsi di fabbriche, contratti di lavoro, scioperi, cassa integrazione. Ha lasciato alle spalle la lunga stagione di sogni e di illusioni che ha segnato la breve storia industriale di Villacidro e dintorni. L'ha attraversata prima da operaio poi da delegato sindacale Cgil, area socialista, alla Filati Industriali, 1300 dipendenti negli anni d'oro, 800 erano donne, prevalentemente ragazze. Da lì una lunga carriera nel sindacato fino alla segreteria regionale e all'incarico di responsabile generale dei pensionati. «Non ho mai reciso il cordone ombelicale con la tradizione contadina e con l'olivicoltura, un segno del carattere che mi è rimasto da quando mio padre mi portava a cavallo per gli oliveti. C'ero anch'io quella volta che portò i ciocchi di olivastro oggi diventati splendidi olivi». Dalla fabbrica di filati alla fabbrica dell'olio buono.
Non sembri strana la storia di Sergio Pibiri, il sindacalista che ama gli ulivi e l'olio del Linas, con la passione della scrittura (nel romanzo Ostinati ha rievocato le vicende della Villacidro del dopoguerra). La chimera industriale degli anni 60-70 ha rischiato di recidere le antiche radici, ma in genere il vecchio cuore villacidrese ha continuato a battere all'ombra degli oliveti e degli agrumeti, che colorano la campagna attorno al Leni.
CORTIRISONI E GIARRANAS Il terreno di Cortirisoni, periferia del vecchio paese d'ombre, guarda le guglie granitiche di Giarranas, al di là c'è la cascata di Sa Spendula. Vicino all'oliveto passava la linea ferrata del trenino delle complementari. Duecentocinquanta metri d'altezza, è la posizione ideale per far maturare le olive e trasformarle in olio saporito. Qui, tra Villacidro e Gonnosfanadiga, passa la linea della bontà: gli alberi non combattono né con le gelate né con la nebbia, sono riparati dal maestrale, baciati dal sole tutto il giorno. «E i terreni sono di medio impasto, né argillosi né sabbiosi. L'acqua non ristagna, ecco il segreto - spiega Pibiri - È come se l'olivo dicesse: qui ci sto bene»
IL LAMPANTINO E poi c'è una tradizione di secoli, forse da quando gli spagnoli invogliavano (o imponevano) di innestare i selvaggi olivastri e di trasformarli in alberi con i frutti dell'olio (è così che è nata la nera di Villacidro , cultivar autoctona, la preferita sotto il monte Linas, insieme con la nera di Gonnos). «Ma l'olio va prodotto seriamente, per troppo tempo abbiamo ignorato le regole più elementari - aggiunge Pibiri - il nostro olio lo chiamavano lampantino sardo, da usare appunto nelle lampade. Non commestibile, se mai buono come combustibile. Per avere un basso grado di acidità, affinché si possa chiamare davvero olio extravergine, le olive vanno macinate entro le 24 ore. L'olio non va conservato a lungo, molti lo fanno in attesa di spuntare un prezzo migliore, ma il fai da te non funziona e alle fine sono costretti a svenderlo ai commercianti».
IL FALLIMENTO DELLE COOP Brucia ancora il recente fallimento delle due cooperative, la Santa Barbara di Gonnosfanadiga e l'Enolearia di Villacidro. Da allora ognuno fa per sè. I postumi della grande crisi si fanno sentire, ma c'è una realtà nuova, fatta di piccole imprese che ottengono riconoscimenti e cominciano a occupare nicchie di mercato, come Masoni Becciu con l'olio biologico o Bruno Cabras con le olive da tavola prodotte con l'antica ricetta dell'acqua e sale. «Non possiamo pensare di competere sulle grandi quantità, ma dobbiamo conquistare i mercati e i consumatori che chiedono qualità - dice ancora Pibiri - Per fare questo occorre unire le forze e purtroppo dalle nostre parti l'associazionismo non decolla. Ma ora l'olio lo sappiamo fare. Pensiamo ai moderni frantoi, dove l'olio si conserva in recipienti d'acciaio e in ambienti puliti. E l'oro giallo respira come un vino».
I PAESAGGI DI DESSÌ Ci sarebbe tanto da fare. Se ne è accorta persino l'Unione Europea che stanzia contributi per ripristinare gli ulivi degradati o innestare gli olivastri, sistemare i terrazzamenti e i muretti a secco. «Un buon incentivo per ricreare la filiera dai vecchi olivi e per migliorare il paesaggio», sostiene Pibiri. Uno stimolo per incrementare il turismo che punta sull'agroalimentare e sulla cultura. Basta ammirare l'oliveto di Balanotti citato da Giuseppe Dessì in Paese d'ombre, proprio sotto monte Crabas, dove i villacidresi portavano la buona terra con le bisacce pur di strappare zolle per impiantare uliveti. Peccato che, passeggiando tra ulivi e agrumi in uno scenario di grande bellezza, non si trovi un cartello, un'indicazione, un segno che racconti ai visitatori la storia, i sogni e le tradizioni di questa comunità laboriosa. E per illustrare le suggestioni dei paesaggi che lo scrittore villacidrese ha reso immortali. Però quest'anno l'olio è ottimo. Verde, fragrante, saporito. Sarà quell'anima dei villacidresi che si rifugia nei vecchi olivi. O il buon senso del sindacalista di un tempo che ha conosciuto le illusioni della grande fabbrica senza mai tagliare le radici con il mondo dei nonni.
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