Certo la preoccupazione di tutti noi, accoppiata alla stanchezza, è quella di sconfiggere il coronavirus che si è impadronito delle nostre vite. Non dobbiamo farci però molte illusioni perché questo non è un momento, uno spicchio della vita personale e collettiva che potremmo mettere nella sacca della storia per dimenticarlo. Infatti il futuro che ci attende non sarà una semplice continuazione del passato recente.

Abbiamo bisogno, urgentemente, di fare i conti con noi stessi, le nostre ambizioni, gli obbiettivi che vorremmo raggiungere e qualche importante domanda a cui da sempre non sappiamo rispondere, ma che neanche ci poniamo. Chi siamo? Siamo una comunità coesa o un insieme di persone che non sono state ancora capaci di trovare obbiettivi e speranze comuni. La nostra storia non ci aiuta. L’individualismo e l’appartenenza a piccole comunità ci hanno distinto. Non c’è paese che non abbia un suo costume identitario, anche molto diverso da quelli dei paesi confinanti. La qualità e la diversità dei tipi di pane rappresentano un’altra identità. Forse questa diversità, che è al contempo ricchezza, è derivata dal lungo isolamento delle nostre comunità. Ed ancora. Nel sardo parlato, nel dialetto anche fra rioni contigui dei nostri paesi ci sono accenti ed espressioni così differenti da creare difficoltà di comprensione. In concreto siamo una piccola comunità che abita un territorio esteso e vario con coste bellissime, pianure estese, montagne ricche di boschi e di sorgenti.

Servirebbe una capacità di governare al meglio, col contributo di tutti noi, questa ricchezza. Le maggioranze e le opposizioni che a fasi alterne ci hanno governato non sono state capaci di innescare percorsi comuni per costruire un modello di sviluppo capace di emanciparci dalla precarietà e farci diventare finalmente un popolo. Dovremmo aver chiaro che ogni società sviluppata ha la sua forza nell’insieme dei diritti e doveri. E quindi le opportunità che la società crea sono accessibili a tutti i cittadini perché si basano sulla certezza che il merito è uno degli strumenti per lo sviluppo sociale ed economico. Anche perché uno non vale uno.  

Purtroppo siamo una società che da tempo ha scelto altre strade. La politica dovrebbe pensare agli interessi generali di noi tutti, in fondo siamo come una media città. Ma se si frammenta il sistema, come è successo con le provincie e le ASL, i cittadini avranno risposte differenti e servizi diseguali. Proviamo allora ad avere una visione diversa del destino della nostra Isola, una nuova e diversa prospettiva. Dovremmo cominciare a ragionare su come cambiare i criteri delle nostre attività produttive per investire nella rigenerazione dell’ambiente, del nostro ecosistema. Perché serve finalmente prendere atto che le nostre economie, la nostra salute, il benessere dipendono dalla nostra terra, dalla natura che ci dà acqua, ossigeno, cibo, smaltisce rifiuti. La più grande ricchezza che abbiamo è la natura. Dobbiamo considerarla un tutt’uno, un ecosistema. Dalle spiagge alla sabbia che si rinnova con l’acqua dei monti alle pianure che non devono diventare depositi di inquinanti.

Abbiamo una grande opportunità: diventare un moderno ecosistema. Bisogna saper valutare i benefici che si ottengono dagli investimenti su risorse naturali, incoraggiando la gestione delle aree protette e scoraggiando forme di consumo dannose per l’ambiente. Investire negli ecosistemi come nel campo della forestazione, della pesca e dell’ecoturismo è importante ma tutta l’Isola deve diventare un ecosistema.

Antonio Barracca

© Riproduzione riservata