Attaccano in sciami. Dieci per volta, almeno. Bassa quota, invisibili ai radar, scrutabili a occhio nudo. Guidati a distanza, precisi e distruttivi. Veri e propri kamikaze dell’aria. Non è un caso che quelli che stanno stravolgendo la guerra tra Russia e Ucraina abbiano un nome eloquente: Shahed-136, ovvero “testimone della fede”, o ancora più esplicito un vero e proprio “martire”. I droni che Vladimir Putin sta lanciando verso centrali elettriche e luoghi strategici dell’Ucraina sono tecnicamente “bombe vaganti”, “loitering munition”, ovvero “droni suicida”. Il più delle volte sono teleguidati attraverso un sistema di navigazione elettro-ottica, con cui l’operatore a distanza può guidare il velivolo nelle ultime decisive fasi di contatto con la missione prestabilita. Altre volte li si affida alla navigazione autonoma e satellitare, possibile in Ucraina, perché i sistemi utilizzati possono utilizzare il Glonass, il Gps made in Russia. Le parti in causa smentiscono: quei droni non sono Shaded-136, i micidiali droni iraniani accusati delle ultime incursioni in terra di Kiev. Le intellingence militari occidentali, però, non hanno dubbi, sono proprio loro. Anzi sul terreno ne avrebbero ritrovato anche qualche rimasuglio riverniciato. Gli uomini di Putin potrebbero averli ridipinti e rinominati Geran-2. Sempre droni, però, sono.

Svolta «bombe vaganti»

Per tutti gli osservatori di affari militari è una svolta sul campo. Lo è soprattutto per coloro che, da sempre, sulle guerre guadagnano a piene mani, incuranti della corsa al riarmo, pronti a godere dell’esclalation bellica, capace, secondo il loro metro di giudizio, di far salire a dismisura fatturati e azioni in Borsa. Nei sobborghi militari da tempo se ne discute, da anni le analisi dei guerrafondai di ogni latitudine si nutrono del tribale moto latino «Si vis pacem, para bellum», «Se vuoi la pace, prepara la guerra». E loro la guerra la preparano a colpi di armi sempre più sofisticate. Non c’è voluto molto per convincere gli Stati occidentali a rimettere mano al portafoglio, incuranti della povertà avanzante, pur di riportare alle stelle le spese militari. Le industrie di guerra non si sono fatte pregare. L’ultimo terreno di conquista è, appunto, quello delle “bombe vaganti”, quei droni da utilizzare per devastare bersagli altrimenti irraggiungibili. E la Sardegna, come spesso capita quando c’è da scaricare in terra di nessuno produzioni pericolose, è drammaticamente in prima linea. La storia è tutta estero su estero, con una ricaduta finale, quella decisiva, in terra sarda, in quel lembo di terra scavato e recintato ai piedi del Marganai, nell’enclave guerrafondaio tra Iglesias e Domusnovas. Le notizie, come spesso capita in questi casi, sono affidate a indecifrabili cablogrammi di affari bellici. In ballo ci sono più Stati, da quelli Uniti d’America a Israele, dalla Germania all’Italia.

Sottotraccia

Di certo nell’operazione tenuta sottotraccia ci sono due colossi mondiali nella produzioni di armi, da una parte gli israeliani della UVision e dall’altra i tedeschi della Rheinmetall. L’operazione è circospetta. Non si parla di rapporti economici, si blindano i contratti, ma di certo si sa che la UVision titolare del più avanzato drone da guerra in circolazione, in dotazione anche ai Marines della Usa force, vuole sbancare il mercato occidentale. Produrre e vendere i loro “giocattoli” di guerra a tutti gli “affamati” eserciti del fronte anti Putin è la missione. Gli amici bellici del rieletto premier israeliano Benjamin "Bibi" Netanyahu, per farlo, però, devono passare attraverso un rapporto diretto con una fabbrica europea. La prescelta è la Rheinmetall, tedesca di Düsseldorf, che “gode” di un braccio operativo posizionato nel profondo Sulcis, sud Sardegna, a 50 km da porto e aeroporto di Cagliari. Non un dettaglio, visto che la Germania, dopo l’ingordigia di guerra che ha caratterizzato la propria storia, era, ma forse lo è ancora, pervasa da un senso di rigetto verso le guerre tale da condizionare la stessa attività dei produttori di armi. In pratica, affari sì, guadagni pure, ma per una questione di coscienza, certe “partite” si giochino altrove. Non è un caso che la Germania, quella dell’Angela tedesca, contestasse apertamente la guerra nello Yemen, attaccando pesantemente il regime criminale dell’Arabia Saudita. Peccato, però, che la stessa Germania gli vendesse le bombe usate per uccidere le popolazioni yemenite prodotte direttamente a Domusnovas, nella fabbrica tedesca in terra di Sardegna. Insomma, riempivano le tasche tedesche, lavandosi la coscienza in terra sarda. Il caso dell’accordo tra israeliani e tedeschi non è da meno. L’operazione è talmente “sensibile” che, appena si è avuto sentore del flirt bellico, il parlamento tedesco ha chiamato immediatamente il Ministro della Difesa a risponderne. Il 29 settembre scorso nelle austere aule parlamentari la risposta è stata disarmante: «Il Ministero della Difesa tedesco vede la diffusione globale delle munizioni vaganti come uno sviluppo preoccupante, indipendentemente dal grado di automazione dei sistemi». E aggiunge: «Con quei droni ci sono potenziali di minacce nei confronti della Bundeswehr (esercito tedesco) e dei suoi alleati». Nel parlamento tedesco, però, risuona persino un sondaggio sull’opinione pubblica di Berlino: il 72% dei cittadini è contrario a questo genere di “Munizioni vaganti”. La requisitoria è sufficiente per lasciar perdere, sia produzione che commercio, almeno in terra tedesca. I “germanici”, però, non rinunciano di certo ai lauti guadagni: occhio non vede, portafoglio non piange.

Tedeschi & coscienza

La soluzione è presto trovata: “scaricare” l’incombenza e la coscienza di quelle produzioni direttamente in Sardegna. La fabbrica è già in piena produzione, la sede è sarda, ma la Rwm parla tedesco, il braccio italico della Rheinmetall, posizionata proprio nel cuore del Mediterraneo, nell’Isola dei Nuraghi. Per questa ragione nei giorni scorsi le agenzie militari hanno cominciato a battere la notizia, senza nomi e cognomi sul primo imponente acquisto dei droni israeliani made in Sardegna. Ben chiara, invece, è la ragione sociale del produttore: la Rwm Italia, quella tedesca di Domusnovas, sarà “prime contractor” per il mercato europeo, fornendo e producendo alcune componenti delle munizioni, assemblando i sistemi e gestendo il supporto logistico.

Caricare nell’Isola

Alla Sardegna, secondo fonti internazionali, sarebbe stato affidato il compito più “nobile”, caricare la testata degli Hero, i droni israeliani made in Sardegna destinati a contrastare, non si sa dove e come, l’avanzata russa in Ucraina. Rheinmetall e UVision, secondo il borsino degli affari di guerra, si sono aggiudicati un primo ordine da un’importante forza militare europea della Nato per munizioni vaganti Hero. Il cliente, una formazione di forze speciali, ha ordinato munizioni da combattimento e addestramento Hero-30, simulatore, corsi di addestramento, attrezzature e supporto per la logistica integrata. Il contratto è ritenuto “classificato”, ovvero secretato, ma si sa che le prime forniture del drone armato in Sardegna sono previste sin dall’inizio del prossimo anno. I tedeschi brindano: si tratta della prima consegna a una grande forza Nato europea, identificazione che rimane secretata ma che induce ad un innato spirito di emulazione. E, infatti, commentando il primo contratto sardo-tedesco-israeliano i produttori dell’alter ego del “martire” iraniano hanno ammesso: «Ciò rafforza la presenza congiunta di entrambi i partner in Europa. L’appalto è stato aggiudicato con clausole di segretezza che limitano la rivelazione di tutti i suoi dettagli».

Facile da “usare”

L’ingordigia bellica e la prosopopea dei produttori di armi non riesce a trattenersi e aggiunge: «Tuttavia, prima dell’aggiudicazione dell’appalto, il cliente ha condotto un’indagine di mercato indicando che la famiglia Hero (quella dei droni israeliani) si era già dimostrata in servizio con altre forze armate come il Corpo dei Marines degli Stati Uniti. Inoltre, è stato notato che, a causa dell’elevata operabilità della famiglia di sistemi Hero, esiste la possibilità che il cliente introduca in futuro anche le munizioni Hero della prossima serie nelle sue forze armate». La conclusione è senza limiti alla decenza: «Si tratta di un moltiplicatore di potenza di combattimento versatile e facile da usare». In Germania non hanno di che preoccuparsi, tanto la coscienza se la sono lavata a Domusnovas, alle pendici del Marganai, nel povero Sulcis costretto a produrre armi letali per far guadagnare contratti milionari ai ricchi tedeschi.

© Riproduzione riservata