Giovedì a Giorgino, uno dei rioni marittimi di Cagliari, un uomo ha notato un teschio nelle zone del Porto Canale. Ha chiamato immediatamente il 112. Oltre al teschio c'erano anche due lunghe ossa. Dalle prime indagini effettuate dai militari della stazione di Stampace, sarebbe emerso che i resti rinvenuti apparterrebbero ad un uomo vissuto tanti anni fa.

Abbiamo voluto approfondire il caso con la Chantal Milani, già capitano dei RIS, antropologo e odontologo forense e perito di parte nella vicenda di Mattia Ennas, seguito dall’avvocato Gianfranco Piscitelli che assiste la famiglia.

Come si procede in questi casi?

"Il primo passo è quello di determinare, quando possibile già sul luogo, se si tratta di resti umani o animali. Se sono sufficientemente integri è molto facile, quando si tratta di piccoli frammenti di ossa o denti può essere già più complesso e servono accertamenti successivi. Mi è capitato di lavorare su resti costituiti da frammenti di pochi centimetri, in questi casi ci vuole pazienza e metodo. L’ambiente in cui vengono trovati fornisce sempre molte informazioni, infatti la fase di recupero e repertamento deve essere minuziosa. Bisogna recuperare tutti i resti anche i più piccoli perché possono essere importanti per l’identificazione. I denti, ad esempio, si possono disperdere fra le foglie, nel terreno che deve essere accuratamente setacciato. Sono importantissimi perché hanno un grande potere identificativo, grazie alla loro unicità. E comunque anche dalla loro assenza si possono trarre diverse informazioni utili.

Altri fattori importanti?

"Riuscire a datare i resti per capire se si tratta di oggetti di interesse forense o archeologico. A meno che non ci siano chiari indicatori che si tratti di resti di interesse storico-archeologico per cui debba essere interessata la Sovrintendenza (corredo funebre, tipo di sepoltura, oggetti personali databili, ecc.), è bene che entri in campo un antropologo forense con una formazione medico-scientifica, figura diversa dall’antropologo o dal bioarcheologo che di prassi lavorano su resti antichi. La parola 'forense', di cui spesso si abusa, ha invece un significato importante: indica l’abitudine a lavorare in contesti giudiziari, conoscerne le regole, così come saper interagire con le altre Scienze Forensi e dedicarsi abitualmente, non solo occasionalmente, ad un contesto 'recente, diverso da quello storico".

La datazione è una cosa che si può eseguire sul posto, ad esempio dal colore delle ossa?

"No, si rischia di commettere grossi errori, a meno che non siano presenti oggetti o segni chiari e inequivocabili. Uno scavo corretto ci aiuta molto e qui sì che dovrebbe intervenire l’archeologo forense o il geologo forense. La datazione non andrebbe mai fatta 'a occhio'. La colorazione ad esempio dipende dalle condizioni di conservazione più che dal tempo. Bisogna però fare attenzione: la datazione con analisi di laboratorio implica distruggere una parte dei resti, inoltre il referto ricevuto dal laboratorio deve essere ben interpretato a seconda dell’età presunta del corpo (ciò implica l’aver stilato prima un profilo antropologico) e del tipo di campione eseguito. Insomma, ci sono dei passaggi importanti per cercare di trarre il massimo beneficio. L’obiettivo principale è riuscire a dare un nome a quel corpo e questo è un dovere nei confronti delle famiglie delle persone scomparse che, ricordiamo, in Italia sono circa 60mila".

Le è capitato di lavorare e analizzare centinaia di resti, ha qualche caso che le è rimasto nel cuore?

"In quasi quindici anni ho lavorato in talmente tanti casi, in Italia e all’estero, che ho difficoltà a sceglierne uno in particolare. Dietro ad ognuno c’è una storia umana che si definisce sempre meglio man mano che si procede con le analisi e l’indagine. Le ossa parlano e hanno tanto da raccontarci. Ho lavorato all’identificazione di corpi scheletrizzati, carbonizzati in cui si deve procedere con autopsia virtuale, disastri di massa come il terremoto ad Amatrice, evento terribile che ti fa capire quanto siamo fragili davanti alla natura: storie di famiglie distrutte, storie di persone... Comunque, ogni contesto mi ha insegnato che il lavoro di squadra è sempre vincente. I colleghi del RIS sono professionisti di elevatissimo spessore scientifico. Ho lavorato anche con squadre di Vigili del Fuoco altamente specializzate di grandissima competenza. In passato ho collaborato anche con la Polizia Scientifica, per non parlare dei nuclei cinofili per la ricerca di corpi occultati di entrambe le Forze di Polizia e di tanti colleghi afferenti alle altre Scienze Forensi e alla Medicina Legale. Ho avuto la fortuna di trovare professionisti di enorme competenza, ciascuno nel proprio settore, e riuscire ad unire le forze porta ad una sinergia davvero costruttiva per le indagini. La scienza si abbina all’indagine sul campo, non la sostituisce. Siamo tasselli di un mosaico che messi sapientemente insieme formano dei quadri sempre più definiti e decifrabili".

Oggi quando si parla di identificazione si pensa subito al DNA, è così anche all’estero?

"I protocolli Interpol parlano di tre metodi primari di identificazione, impronte digitali, denti (odontologia forense) e DNA. E quest’ordine ha un senso perché si procede dai metodi più rapidi, economici e generalmente non distruttivi. Dopo pochissimi minuti sappiamo subito se le impronte digitali sono utili o se dobbiamo passare al 'piano B' e così via. Su resti scheletrizzati, ovviamente, non c’è nemmeno da starci a pensare. I denti, essendo unici per ogni individuo, sono identificativi quanto un DNA. La loro morfologia, i minuscoli lavori fatti da un dentista quando la persona era in vita e tante altre caratteristiche dento-scheletriche non solo aiutano nel confronto finale fra persona scomparsa e i resti ritrovati, ma proprio a trovare fra le 60mila persone scomparse i cosiddetti 'sospetti di identità' su cui effettuare il confronto mirato. Infatti assieme all’analisi delle ossa permettono di stilare il profilo antropologico, un insieme di caratteristiche come popolazione, sesso, età, statura, che formano un identikit sulla base del quale cercare fra le persone scomparse. Il DNA è indispensabile quando vengono ritrovate tracce biologiche su una scena. In questi casi è praticamente insostituibile e i laboratori sono spesso oberati di lavoro. Su resti umani molto compromessi può capitare che il DNA sia degradato, quindi che non ne sia rimasto e i tentativi di estrazione sono procedimenti anche piuttosto costosi e necessitano la distruzione del campione. Pertanto prima di distruggerlo è bene aver compiuto tutti gli altri passaggi preliminari che potrebbero, già da soli, portare ad una soluzione'.

Un esempio di cosa non fare?

"Rimanendo in questo ambito, spesso ho visto fare il DNA per stabilire se non resti umani o animali anche su resti in cui, ad occhi esperti, la morfologia del frammento osseo ritrovato può già dare risposte chiare. Oppure, quando vengono trovati resti umani commisti, mescolati, viene richiesto tout court il DNA che talvolta viene eseguito su ogni frammento con costi esorbitanti e una distruzione del reperto che impedisce ogni analisi successiva. Invece si dovrebbe dapprima, se possibile, suddividere i soggetti presenti (quanti individui abbiamo in questo miscuglio?) suddividendo i resti appartenenti ad un medesimo 'gruppo', e poi, se necessario, eseguire il DNA a campione, solo su parti selezionate di ciascun gruppo. Come dicevo però, ogni caso è a sé, e l’abilità sta proprio nell’adattare le procedure al caso specifico cercando di fare il meglio per il caso stesso, anche se talvolta porta ad escludere le discipline di cui ci occupiamo. Bisogna saper 'mollare l’osso' quando è necessario. Comunque, gli ambiti in cui possono essere utili competenze in antropologia e odontologia forense, oltre all’analisi di resti umani, sono anche, ad esempio, l’analisi dei soggetti ritratti in videosorveglianze, la stima dell’età nei presunti minori, l’analisi di impronte lasciate da morsi. Sono materie, per chi ci si dedica in modo approfondito, che hanno molte potenzialità, soprattutto se abbinate".

Speriamo di vederla presto in Sardegna, dove peraltro ha già lavorato.

"La Sardegna è una terra meravigliosa e sono felice sia una delle mie 'sedi' di lavoro".

Angelo Barraco
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