Un bel giorno il genio della lampada magica appare ad un Sardo e gli dice: "Chiedimi quello che vuoi: io te lo concederò". E aggiunse: "Ma ricordalo bene: un solo desiderio. E qualsiasi cosa tu mi chieda, quella stessa cosa la farò in misura doppia al tuo peggiore nemico". Senza pensarci, il Sardo rispose: "Cavami un occhio!" (Resta ignota la variante linguistica; non si sa infatti se il Sardo abbia detto: "bogami unu ogu" o "ocaminche unu ocru").

La tragicomica storiella rivela un aspetto su cui c'è poco da ridere: una cieca volontà distruttiva (e autodistruttiva) che alberga nell'animo del Sardo e che sarebbe stolto negare. Quel Sardo - baciato dalla fortuna - era tanto invidioso e sadomasochista da mutilarsi atrocemente, pur di danneggiare il suo odiato rivale. La barzelletta-apologo evoca l'invidia che alligna nell'Isola. E un'altra lettera "i", svetta in Sardegna: individualismo.

Ma procediamo con ordine. Partiamo dall'invidia. Un sentimento sterile, ma paradossalmente uno dei più attivi, sia della storia, sia dei rapporti interpersonali. E non è certo una prerogativa dei sardi. Basti leggere Shakespeare o ascoltare Verdi. Celebri gli invidiosi del Purgatorio di Dante: hanno gli occhi cuciti da filo di ferro che impedisce loro di vedere, mentre in vita guardarono il prossimo con occhio malevolo (dal latino "invideo"). Ma veniamo all'individualismo. Una conseguenza positiva è che il culto della personalità nell'Isola non attecchisce facilmente, almeno in senso mafioso (sottomissione al Padrino).

E forse anche per questa mentalità non fiorisce il pizzo. Sempre a proposito di individualismo, i Sardi assurgono sovente ai massimi livelli dello Stato (istituzioni etc.), ma non fanno mai vera cordata (anche perché siamo quattro gatti). Del resto, esiste un individualismo becero: una pseudo balentìa che cerca la conflittualità ad ogni piè sospinto, in modo cretino, con il gusto malato di misurarsi sempre muscolarmente con tutto il mondo. E col rischio di cadere anche in un surreale Far West.

Un problema cultuale in Sardegna è la visione limitata alla propria aiuola, con illustri eccezioni. Oggi è in grande spolvero una versione televisiva (tutt'altro che esaltante) de Il Nome della Rosa, di Umberto Eco. Ad un certo punto, Guglielmo di Baskerville, il monaco-detective, tra canto gregoriano, delitti, lotte tra papato e impero, cita una delle frasi più celebri (e abusate) del Medio Evo, riferita ai Maestri del passato: "Siamo nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l'acume della vista o l'altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti".

Una scommessa per i Sardi del secolo XXI? Scrutare con lungimiranza i nuovi possibili scenari, in una Europa alla schizofrenica ricerca di sé stessa. Guardare lontano, quindi: un problema culturale, di forma mentis, di crebeddu. E c'è modo e modo di guardare lontano, purificati dall'invidia. Guardare lontano, con un giusto cocktail di sogni e sano realismo. Guardare lontano, con l'umiltà di avvalersi di tutte le persone di buona volontà, senza pregiudizi e paraocchi. Il segreto di una visione lungimirante? Sfruttare non solo due, bensì tutti gli occhi limpidi e generosi disponibili, capaci di guardare con spirito costruttivo il futuro per "s'acreximentu" della Republica sardisca, come auspicava Eleonora d'Arborea nella Carta de Logu. (E senza attendere il genio della lampada, coi suoi doni capziosi).

Giampaolo Mele

(Università di Sassari)
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