Dai 473 del 2013 ai 1.119 del 2019: in sette anni i “crimini d’odio” - le offese, le discriminazioni e le violenze legate all’essere donna, all’orientamento sessuale, alla nazionalità, alla presenza di difetti fisici - sono più che raddoppiati. Nel 2021 sinora a livello nazionale i femminicidi sono 84, gli atti persecutori e i maltrattamenti non si contano. La situazione è grave «e negli ultimi anni è peggiorata», eppure «rispetto alla grande massa dei reati non sembra drammatica perché difficilmente la vittima presenta una denuncia: subisce e basta. Invece lo è. C’è un sommerso enorme» di «violenze psicologiche, revenge porn, stalking, lesioni».

Cristina Ornano, 57 anni, giudice delle indagini preliminari a Cagliari, presidente di AreaDg (una delle correnti della magistratura), elenca dati e problemi di un fenomeno «preoccupante» che, oltre a «ledere la dignità delle persone e la stessa democrazia», dovrebbe «suscitare una reazione comune e condivisa» perché «toglie libertà a tutti». Se ne discuterà domani mattina, nell’aula magna del Palazzo di giustizia del capoluogo, nel terzo congresso nazionale di AreaDg che, sino a domenica, toccherà anche argomenti quali il caso Palamara e i referendum sulla giustizia. La decisione di cominciare il convegno parlando dei crimini d’odio è dovuta proprio «alla constatazione» che quei reati «sono in aumento. Le persone, discriminate solo per l’appartenenza, vera o presunta, a certe categorie, vengono attaccate nella loro dimensione sociale. È indice di un degrado dei valori e di una deriva sociale. Vogliamo studiare il fenomeno e spiegarlo coi maggiori esperti in materia».

Il vostro osservatorio è privilegiato: perché questi reati crescono di numero?

«La società è cambiata, anche per il Covid i cui effetti ancora non sono stati del tutto compresi, ed è sempre meno solidale. La globalizzazione, la digitalizzazione e la diffusione delle reti informatiche hanno dato la possibilità di comunicare senza filtri e di ricevere una mole di informazioni enorme rispetto al passato anche a chi non ha piena consapevolezza dell’importanza delle parole e delle possibili conseguenze. Insulti e offese spesso sfociano nelle violenze fisiche. Il nazismo ha costruito gran parte dell’odio attraverso la comunicazione, assegnando caratteristiche orrende a una certa categoria di persone verso la quale veicolare disagio e paura perché identificata nel “nemico”. È la stessa logica utilizzata contro le streghe in passato: oggi però la comunicazione ha forme ben più sviluppate e a volte c’è chi strumentalizza quei sentimenti per ottenere consenso sociale e politico. Si criminalizza chi è percepito come diverso, un meccanismo perverso. La società è sempre meno solidale, il senso di insicurezza maggiore e rabbia e paura vengono sfogati sul diverso. Ieri erano gli ebrei, oggi sono gli immigrati, gli Lgbt, gli omosessuali, le donne».

Le donne sono l’obiettivo principale delle violenze maschili. Perché?

«Cambiano i ruoli, la società è diversa, le relazioni differenti. La violenza è la risposta più semplice e immediata. È un fenomeno drammatico di difficile comprensione. L’odio verso le donne fa paura: tanti atti persecutori, violenze domestiche e lesioni. I loro volti cancellati dai manifesti in Afghanistan in queste settimane sono immagini che fanno rabbrividire».

Di recente la giornalista Barbara Palombelli, parlando dei femminicidi, si è chiesta se gli assassini fossero «completamente fuori di testa» o se dietro quanto accaduto vi fosse «un comportamento esasperante e aggressivo» delle donne uccise. Pensa abbia sbagliato a introdurre questo argomento?

«L’affermazione è molto grave e del tutto gratuita, non riflette neanche una parte di verità. Chi fa comunicazione dovrebbe rappresentare un veicolo educativo. La radice delle violenze non sono i presunti comportamenti provocatori e in ogni caso è inaccettabile qualunque giustificazione perché il risultato è: se sei vittima, te la sei cercata. Uno stereotipo. La vittima deve essere messa al centro».

La crescita di questi comportamenti vuol forse dire che il Codice rosso, legge introdotta nel 2019 a tutela delle donne e dei soggetti deboli che subiscono violenze, non è stato efficace come si sperava?

«L’azione punitiva è fondamentale, perché tende a prevenire i reati e a rafforzare gli strumenti che proteggono la vittima. Però la violenza domestica ha radici lontane difficili da estirpare. Le donne sono sempre state relegate in un ruolo secondario e ora non si accetta che abbiano un ruolo preminente. Così gli insulti e le violenze sono la regola».

Ma se neanche le nuove leggi eliminano il problema, che si può fare?

«Forme di contrasto alla violenza sono state introdotte solo da una decina di anni, lo stalking risale al 2009. Per avere risultati servono prevenzione, protezione e punizione. Prima la punizione era blanda e la percezione inesistente. L’intervento punitivo è necessario ma carente, servono norme che incentivino percorsi di recupero per gli uomini violenti. Le espressioni di odio e l’odio in sé non possono avere giustificazione. Politica e magistratura, ma anche il mondo della cultura e della comunicazione col loro ruolo fondamentale, devono contribuire a educare la società e a creare una sensibilità comune e condivisa sui crimini d’odio, perché tolgono libertà a tutti. La democrazia deve assicurare sicurezza e dignità della persona».

Andrea Manunza

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IL CONVEGNO

Tre giorni per parlare di crimini d’odio e giustizia con magistrati, avvocati, docenti universitari, sociologi, politici e giornalisti. È l’iniziativa organizzata a Cagliari da “Area democratica per la giustizia”, corrente della magistratura presieduta dalla giudice Cristina Ornano, in programma da domani a domenica nell’aula magna del Palazzo di giustizia in piazza Repubblica e al teatro Doglio in via Logudoro, dove l’accesso è consentito a chi ha il green pass e nel rispetto delle regole sanitarie. 

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