Non è facile comprendere se qui in Sardegna, ad iniziare dagli esponenti politici, si sia ben valutato l'effetto che il potenziamento delle autonomie regionali, come richieste dal Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, potrebbe avere nei confronti delle capacità dello Stato di esercitare una redistribuzione equa delle entrate fiscali fra tutti i cittadini della Repubblica.

Anche perché quelle richieste, più che a maggiori poteri, mirano a poter gestire la quasi totalità del gettito fiscale riscosso, sottraendo così allo Stato la possibilità di esercitare le necessarie funzioni perequative fra regioni della polpa e regioni dell'osso, per usare la classica definizione di Manlio Rossi Doria. Andando così ad incidere negativamente su quel principio di equità che vorrebbe gli investimenti statali parametrati al numero degli abitanti d'ogni singola regione. Con la Sardegna, ad esempio, che ha visto gli investimenti, come effettuati dallo Stato e dalle grandi società pubbliche (FS, Anas, ecc.), fermarsi a neppure un terzo di quelli goduti da veneti, lombardi ed emiliani.

Non a caso, l'indice di competitività fra le regioni italiane (come indicato nel rapporto 2018 del World Economic Forum) vede Lombardia, Veneto ed Emilia ai primi posti, con un punteggio fra i 128 ed i 112 punti, ben maggiore quindi dei 69 punti della Sardegna e dei 72 della Basilicata.

Ora, per collocare queste asimmetrie in una prospettiva storica lunga, va rilevato come la spesa per interventi nazionali finalizzati allo sviluppo della nostra regione, non diversamente dalle altre del Sud, è andata progressivamente calando.

Un regresso che, fatto eguale a 100 il valore degli anni '70, l'ha portato ad un misero 38 dell'ultimo decennio. Determinando così un continuo e vistoso arretramento dell'economia sarda, testimoniato, come indica l'ultimo rapporto Svimez, dal prodotto pro capite, che in Sardegna s'è ridotto ormai ad una percentuale tra il 54 ed il 62 per cento rispetto ai valori della Lombardia, Veneto ed Emilia. Proprio per questo, quel "regionalismo a geometria variabile" richiesto dalle tre regioni, se deve impensierire perché potrebbe portare ad un aumento di quel differenziale di competitività (e, quindi, di benessere) fra le diverse regioni del Paese, può anche essere utilizzato come una favorevole opportunità per consentire alla Sardegna di chiedere e pretendere dallo Stato, sulla base della sua pesante asimmetria geografica (il penalizzante gap dell'insularità), più poteri statutari e maggiori entrate per annullarne le conseguenti diseconomie. E liberarla così dalle angustie d'essere regione dell'osso e non della polpa.

Si è quindi del parere debba essere questo uno dei primi, importanti problemi d'affrontare. Da parte del nuovo Presidente della Giunta, forte del suo imprinting autonomista, e dal neo-eletto Consiglio regionale. Perché quell'insularità è obiettivamente fonte di maggiori costi che incidono pesantemente sulla competitività complessiva dell'isola, e delle sue attività, nei confronti delle regioni peninsulari. Ed è proprio sulla liberazione di quei gravami che dovrebbe incentrarsi la richiesta di compensazioni da parte della nostra Regione, in modo da poterne eliminare il peso. Soprattutto richiamandosi all'obbligo costituzionale del raggiungimento della uguaglianza sostanziale nei confronti di tutti i cittadini. Ci sarebbe quindi una strada da percorrere: quella, ad esempio, di poter ottenere dallo Stato un'opportuna e doverosa redistribuzione/restituzione del gettito tributario, in modo che possa annullare quei differenziali negativi che pesano sulla condizione penalizzante d'essere un'isola. La Spagna, ad esempio, per le sue isole lontane - Canarie e Baleari - ha introdotto delle misure correttive, attraverso la riduzione dell'imposizione fiscale e con interventi premiali allo scopo di sostenerne la competitività sociale ed economica. Si potrà seguire questa od intraprendere un'altra strada? Poco importa: quel che conta è che si rivendichi e si ricostruisca quella specialità dell'autonomia sarda che il tempo trascorso, il mai sopito centralismo romano e le disattenzioni dei nostri governanti hanno depotenziato.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)
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