A casa di papà o emigrati: la drammatica alternativa degli under 35 nell'Isola
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Non basta che siamo una delle regioni più anziane d'Italia, con pensioni tra le più povere di tutto il Paese. La Sardegna è anche la terra in cui i giovani con meno di 35 anni fanno più fatica a abbandonare la casa dei genitori. Sono 7 su 10, oltre 8 milioni a livello nazionale, quelli che si trovano in questa condizione, dice l'Istat. «Date le condizioni economiche della Sardegna», tra cui la disoccupazione giovanile oltre il 54%, «pur in assenza di dati certi, è verosimile che i giovani adulti sardi tra i 15 e i 34 anni che sono costretti a vivere a casa dei genitori siano di più», afferma Ignazio Ganga, segretario regionale della Cisl. «Quelli che, invece, non restano con mamma e papà sono addirittura costretti a scappare via da un'Isola che non gli garantisce futuro», aggiunge Michele Carrus, leader della Cgil.
ALTERNATIVA SGRADEVOLE - Forse non hanno lavoro o quello che hanno è instabile. O forse la retribuzione non basta a coprire le spese di una vita autonoma. O ancora, qualcuno potrebbe non sentirsi sicuro di abbandonare il nido familiare per andare a vivere da soli. I motivi possono essere tanti, ma resta il fatto che sono sempre di più i giovani sardi costretti a restare sotto lo stesso tetto dei genitori o, in alternativa, a lasciare l'Isola. «Questo fenomeno ha un'evidente corrispondenza con i dati sulla crescita», spiega Ganga. «I giovani restano a casa dove la disoccupazione è più alta, dove il welfare è debole e supplisce, finché si può, la famiglia».
A pesare su questa condizione contribuisce anche il «divario tra istruzione, formazione e lavoro», sottolinea ancora Ganga. «In Sardegna il tempo di attesa che passa tra la fine degli studi e l'assunzione con un contratto a tempo indeterminato è tra i più lunghi del Paese e raggiunge punte di 10 anni». Eppure, il paradosso è che questi Millennials (cioè i nati tra i primi anni Ottanta e il Duemila), «nonostante abbiano in generale un livello di istruzione e formazione maggiore rispetto alle precedenti generazioni, si trovano a vivere una condizione peggiore», dice ancora il segretario Cisl.
STRATEGIE - Per questo motivo la Sardegna è chiamata a ripensarsi. Come? Intanto «rivedendo quelle politiche di sviluppo che sappiano valorizzare le competenze acquisite, evitando di far scappare i giovani o di costringerli a restare a casa con i genitori», spiega Michele Carrus. Ma anche «facendo un tagliando alle politiche attive regionali per il lavoro», aggiunge Ganga. «Oltre trenta misure, infatti, non hanno dato i risultati attesi, nonostante siano state investite importanti risorse economiche».
Sotto accusa finisce, per esempio, la Flexsecurity, il programma della Regione che propone azioni combinate, finalizzate ad accompagnare lavoratori svantaggiati in un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro, tirocini e un bonus alle imprese per l'assunzione. «In una fase economica di depressione, con poche risorse investite, quel programma si è rivelato inadeguato», dice Carrus. I sindacati puntano il dito anche contro Garanzia giovani, il programma del governo riservato ai giovani tra i 15 e 29 anni (che non studiano e non lavorano) che «in Sardegna ha coinvolto circa 50.000 persone ma alla fine ha garantito occupazione stabile a meno di 300 giovani», conclude Carrus.
Mauro Madeddu