«Mostro di Firenze, la pista sarda non è una sorpresa: mio padre sapeva»

01 agosto 2025 alle 15:24aggiornato il 01 agosto 2025 alle 15:33

«Adesso ogni tassello è al suo posto, ma per mio padre non sarebbe stata un sorpresa apprendere che il test del dna su Natalino Mele porta ai Vinci, ossia porta alla pista sarda, porta a Villacidro. Mio padre lo ha sempre saputo e lo ha scritto alla Procura di Firenze nel 1985, ma sono state fatte altre scelte investigative. Una cosa è certa, 30 anni fa il maggiore dei carabinieri Vincenzo Rosati aveva capito che era necessario cercare il mostro di Firenze in Sardegna»: Mario Rosati parla nel suo studio di Tempio, è un avvocato, ma soprattutto è il figlio dell’ufficiale dell’Arma che mise fine alla tragica sequenza di omicidi, avvenuti nella provincia di Firenze a partire dal 1968. Mario Rosati mostra un corposo rapporto giudiziario e dice: «Certo, è così. Quando, nell’autunno del 1985, mio padre, Vincenzo Rosati, arriva a Firenze da Tempio, con il colonnello Torrisi punta subito alla pista sarda. Sulla base di questa informativa, dopo qualche mese, Vinci sarà arrestato. Da allora il “mostro” non ha colpito più. E in questi giorni la cosiddetta pista sarda ha un nuovo formidabile argomento a supporto, il test del dna di Natalino Mele».

Firenze nera

Il racconto di Mario Rosati parte dal trasferimento dei genitori in Toscana: «Mio padre comandava la Compagnia dei carabinieri di Tempio e dopo le indagini, concluse con successo, sul caso De André e su altri 40 sequestri di persona, la cosiddetta anonima gallurese, viene promosso. Gli viene assegnato il comando del Nucleo operativo di Firenze. Ho vissuto da vicino quella fase, arriviamo in Toscana nel settembre del 1985 e troviamo un clima plumbeo. Appena iscritto a Giurisprudenza, vedo una città tappezzata di manifesti che invitano i ragazzi a stare attenti. Pochi giorni prima erano stati uccisi agli Scopeti, Jean-Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, duplice omicidio seguito dal solito macabro rituale delle mutilazioni. Mio padre assume il comando del nucleo dell’Arma che indaga sui delitti del “mostro”, c’è anche un gruppo specializzato, guidato dal maresciallo, sardo, Salvatore Congiu. Gli investigatori di via Borgognissanti trasferiscono i fascicoli a mio padre e in quelle pagine trova gli elementi che lo riportano in Sardegna».

Indagini a Villacidro

È la pista che arriva a Salvatore Vinci, un artigiano di Villacidro trasferito a Firenze dopo la morte della moglie, la pista sarda. Mario Rosati mette in fila i fatti: «Mio padre segnala alla Procura di Firenze e al magistrato Luigi Lombardini, con il quale ha un rapporto di strettissima collaborazione, diversi elementi: le anomalie del suicidio della moglie di Vinci, Barbarina Steri, avvenuto a Villacidro nel 1960, il furto di una pistola calibro 22 e di un centinaio di proiettili (con la lettera H nel fondello) avvenuto sempre a Villacidro ai danni del dirimpettaio di Vinci, armi e munizionamento che sono una costante in tutti gli omicidi del “mostro”. Ma, soprattutto, concentra l’attenzione sull’omicidio di Barbara Locci e dell’amante Antonio Lo Bianco, del 21 agosto del 1968, il delitto che apre la sequenza di omicidi delle coppiette». Il maggiore Vincenzo Rosati nell’autunno del 1985 ritiene, e lo scrive, che il duplice omicidio Locci – Lo Bianco è la chiave di tutto. Mario Rosati spiega: «E così arriviamo al recentissimo test del dna. Mio padre colloca Salvatore Vinci tra i soggetti presenti sulla scena del crimine e collega Natalino Mele, il figlio di Barbara Locci, alla famiglia Vinci. Il bambino, sei anni, dormiva nel sedile posteriore dell’auto dove viene massacrata la madre. Oggi sappiamo che il suo Dna è compatibile con quello dei familiari di Salvatore Vinci. Mio padre è arrivato a questa conclusione, per altre strade, trent’anni fa. Parlò a lungo con Natalino, nel 1985 uomo fatto, raccogliendo le sue confidenze, sulle quali io non posso dire nulla. Vinci sarà arrestato nel 1986 e portato nel carcere di Tempio, dove parlerà con un compagno di cella, dicendo cose rilevanti per le indagini. Sarà assolto dall’accusa di avere ucciso la moglie e poi sparirà nel nulla. La Procura di Firenze non si occuperà più di lui. Mio padre lo ha ripetuto per anni, Pacciani non c’entra. Quella del “mostro” per lui era un’altra storia una storia semplice, come il romanzo di Leonardo Sciascia».