L'insularità sostenibile, di Fiorella Pilato

25 luglio 2021 alle 20:54aggiornato il 28 luglio 2021 alle 15:29

Prosegue con questo intervento il  dibattito aperto da L’Unione Sarda sui temi dell’ambiente, dell’energia e l’utilizzo dei fondi del PNNR nell’Isola.

Sono sarda per scelta. Ricordo l’arrivo nell’isola, da ragazzina, preceduto nel porto di Olbia dai cartelli “Approdo Nuovo in una terra antica”. Terra ancora autentica modellata da mare e vento, fatta di rocce, profumi di macchia mediterranea, muretti a secco; ricca di tesori segreti, madre e custode di tradizioni millenarie. Nessuno della mia famiglia è riuscito a lasciarla. Negli anni, dall’osservatorio del processo, ho visto l’isola magica vittima della violenza dei suoi figli. Oggi viviamo in una terra violentata ad altissimo rischio idrogeologico, dove zone interne e costiere si desertificano per la sparizione della cultura contadina legata al suolo e la distruzione della vegetazione per incendi, disboscamenti, avvelenamento di suolo e sottosuolo, pale eoliche che alterano l’equilibrio di flora e fauna, cave più o meno abusive, cementificazioni senza criterio, case e strade costruite su terreni fragili, nell’alveo di corsi d’acqua e sugli argini; e dove quindi, quando piove, si verificano frane e alluvioni devastanti. Campagne e antichi centri abitati, ricchi di storia e di testimonianze di civiltà passate, s’imbarbariscono e si spopolano. Da giudice, mi sono sempre occupata di reati contro l’ambiente.

Reati commessi nel contesto in cui piani paesistici, concessioni edilizie, autorizzazioni paesaggistiche, valutazioni d’impatto ambientale, controlli su smaltimento di rifiuti e scarichi inquinanti (da quelli tossici industriali a quelli delle porcilaie che penetrano nelle falde acquifere) erano vissuti come vincoli ai diritti di proprietà e ostacoli all’iniziativa imprenditoriale da chi considerava l’ambiente sotto il solo aspetto estetico dei luoghi, valutabile secondo il gusto personale quindi secondario e sacrificabile al profitto in nome di un malinteso sviluppo economico. Oggi invece grazie alle politiche comunitarie l’ambiente stesso è ritenuto bene pubblico economico, soggetto a consumo, col passaggio della tutela dell’ambiente da limite allo sviluppo a elemento integrante della crescita economica. Dal Trattato di Maastricht ogni atto a favore dell’ambiente ha ribadito che gli interventi devono avere come obiettivo la sostenibilità, parola d’ordine europea. Quindi sono obbligatorie scelte ambientali saggiamente ideate, dirette e realizzate per attivare uno sviluppo virtuoso mediante tecnologie innovative e apertura di nuovi mercati. Ma per orientarsi nelle scelte occorre chiarire ambito e significato del valore ambiente perché il riferimento riduttivo al solo aspetto economico rischia di fuorviare. Facile il ricorso allo slogan, al cui riparo compiere ancora misfatti. Ne diffida anche Papa Francesco che nell’enciclica “Laudato si’” scrive: «il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine». Avverte che l’ambiente non è valore a sé stante ma legato a quelli di libertà, eguaglianza, giustizia sociale e diritto alla vita; che: uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore non può considerarsi progresso; che l’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate e reagisca secondo una trasformazione personale. Punto cruciale, che rimanda alla lacuna culturale di fondo. Temo che manchi tuttora la consapevolezza del valore ambiente e della sua dimensione. Si collega la questione ambientale a interessi immediati, talvolta nobili ma di breve respiro, senza andare alla sua essenza. In questo quadro, la normativa ambientale può arginare qualche deriva ma non incide sul fulcro del problema, culturale e politico. Occorre invece ridefinire i termini di progresso e sviluppo dopo aver compreso che l’ambiente è un ecosistema: complesso dinamico di tutti gli esseri viventi che occupano lo stesso luogo fisico e delle interazioni reciproche. Concetto proiettato nel domani delle nuove generazioni in cui, l’ambiente è memoria della propria storia e prospettiva di futuro. Insegna che è esistito un passato ma è possibile costruire un avvenire diverso. Spetta a noi tutti, maturata la coscienza collettiva del valore dell’ambiente, immaginare e stimolare progetti coerenti non tanto di difesa ambientale, quanto di sviluppo di un modello ambientale eticamente oltre che economicamente vincente.

Fiorella Pilato 

(Magistrato in pensione già componente CSM)