Il docente: sull’intelligenza artificiale troppi falsi miti

«L’IA sarà sostenibile solo se saremo in grado di sfruttarla al meglio» 

Epifani: dal digitale tante opportunità, ma alla Sardegna serve una strategia 

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Un futuro che corre e che ci ha già cambiato la vita. Accompagnati da ChatGpt e ‘’assistiti’’ ovunque: casa, auto, lavoro, scuola. La Fondazione per la Sostenibilità Digitale è la prima in Italia che studia l’impatto di queste trasformazioni. Parla il presidente Stefano Epifani: lunga esperienza alle Nazioni Unite, docente di Sostenibilità Digitale alla Facoltà di Economia di Pavia.

Digitale. Bello sì, ma sempre buono?

«Sta a noi renderlo buono o cattivo in funzione di come lo si usa. Dobbiamo parlare di sostenibilità digitale. Come si parla di sostenibilità ambientale, economica, sociale».

Le aziende come si comportano?

«Hanno più o meno intercettato il tema. Negli ultimi anni ne hanno fatto una bandiera. Ma quando conveniva, per i bilanci e per la comunicazione».

C’era da aspettarselo. E il grande passaggio?

«Diciamo che capiscono poco la sostenibilità e ancor meno il digitale. Il problema è duplice: infrastrutturale per il digitale e culturale per la sostenibilità. Fanno fatica a comprendere da una parte la natura di questi due elementi, dall'altra come si rafforzano a vicenda».

E sul costo sociale?

«Gli impatti negativi sono certi. Quelli positivi dipendono dalla nostra capacità di inserirli in un percorso di miglioramento. Vale non soltanto per i massimi sistemi, ma per la vita di tutti i giorni».

Vita con ChatGpt

«Parlare con ChatGpt, se lo facciamo male, rischia di farci ragionare sempre meno. Ma se sfruttiamo bene le leve dell'intelligenza artificiale acquisiamo più competenze, più conoscenza e diventiamo più bravi nel lavoro».

Lei ha scritto che ‘’l’intelligenza artificiale non è solo una tecnologia, ma anche una costruzione narrativa’’.

«L’ho scritto nel libro ‘’Il teatro delle macchine pensanti’’. Cito il titolo perché richiama come spesso viviamo una messa in scena, dove la narrazione supera la sostanza. E si alimentano falsi miti».

Per esempio?

«Il fatto che l'intelligenza artificiale sia intelligente. In realtà stiamo ragionando con una specie di calcolatrice con gli steroidi».

Bella immagine, ‘’muscoli digitali’’.

«Non è tanto diverso. Il problema è che la narrazione che facciamo dell'intelligenza artificiale è funzionale a fare scalpore. Perché i media hanno più facilità a generare traffico dicendo cose eclatanti».

Ma è un vizio diffuso…

«Allo stesso modo si comporta la politica, che spesso deve fare annunci più che sostanza. Questo costruisce un ecosistema che attribuisce all'intelligenza artificiale caratteristiche che non ha».

E le “nuove professioni”?

«Si parla dei lavori creati dall'indotto dell’IA. Si tratta di ripensare i lavori di oggi in funzione delle possibilità offerte da questi strumenti».

Una sfida enorme.

«Ognuno di noi deve chiedersi come cambierà la propria esistenza. Quali sono i livelli di consapevolezza, prima che di competenza, da acquisire. La tecnologia ha sempre portato migliori condizioni di vita e un aumento dei posti di lavoro. Ma questo riguarda le economie che sanno sfruttare il cambiamento».

E l’Italia come sta?

«Non è detto che l’Italia sia tra quelle che sapranno avvantaggiarsi. Sconta un divario storico rispetto al digitale. Siamo tra gli ultimi in Europa per competenze e consapevolezza delle opportunità».

Rimedi?

«Una riflessione con al centro istituzioni e sistemi formativi. La Sardegna ha una S3 (Smart Specialisation Strategy, ndr) che guarda al turismo. Invece viene vista come ‘’strumento’’ per produrre energia. Questa non è trasformazione digitale. Non migliora la vita».

Ma la strada del digitale, in larga parte, l’ha aperta la Sardegna.

«L’Isola può fare della trasformazione digitale un’opportunità. È al centro di una serie di connessioni, ha competenze fortissime. Ma manca una strategia di lungo periodo».

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