Contu (Fimmg): «Manca un’organizzazione stabile»

Gli “Ascot” in tilt Pazienti in fila per ore, i medici lasciati soli 

Gli ambulatori territoriali nati dove mancano le cure di base 

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Sono nati tre anni fa per far fronte a una vera e propria emergenza, per colmare la mancanza di medici di medicina generale in molti paesi della Sardegna, gli Ascot – ambulatori straordinari di comunità territoriale – oggi sono diventati un servizio stabile, seppure in giorni e orari ballerini, ma senza un governo, senza una precisa organizzazione, ognuno come una sorta di piccola repubblica autonoma nel bene e nel male, con grandi disagi sia per i professionisti che ci lavorano che per i pazienti che hanno soltanto loro come punto di riferimento per l’assistenza di base.

L’allarme

L’allarme arriva dal sindacato Fimmg, con il segretario regionale Federico Contu: «Manca del tutto un management, non ha senso mandare i colleghi in luoghi sperduti a scrivere ricette e basta, è una dequalificazione professionale, un modo poco accorto di spendere il denaro pubblico».

Gli Ascot – dove i medici percepiscono 60 euro all’ora, e la spesa complessiva annua per la Regione ammonta a oltre 3 milioni di euro – «devono essere trasformati», prosegue dottor Contu, «con un nuovo accordo integrativo che definisca con chiarezza i compiti dei medici a quota oraria, li collochi nel quadro complessivo della medicina generale, preveda incentivi per le aree più svantaggiate, garantisca personale di studio e sistemi informativi integrati con Aft (aggregazioni funzionali territoriali), case della comunità e distretti, e introduca un set minimo di indicatori per monitorare l’attività e gli esiti».

Il caso

La denuncia dei giorni scorsi a Siliqua racconta una situazione diffusa. «Nel nostro Ascot, l’assistenza è compromessa da un doppio ordine di problemi», hanno sottolineato le dottoresse Claudia Rescigno e Michela Fois, «la mancanza di supporto logistico da parte della Asl e il carico di lavoro spesso insostenibile. La più grave criticità riguarda la campagna vaccinale. Non sono state fornite le dosi essenziali, così i cittadini sono costretti ad andare in farmacia ad acquistare i vaccini a proprie spese, e noi dobbiamo gestire le iniezioni delle dosi private in totale autonomia, senza il supporto operativo dell’Azienda». Ancora, in uno dei suoi ultimi turni, una dottoressa ha ricevuto 49 pazienti, segnalando un fortissimo disagio, e il fatto che «il caos e le code sono aggravati dai comportamenti di chi, cercando di fare scorte, richiede farmaci in modo ripetuto ai diversi professionisti della struttura».

I nodi

Dice ancora il segretario della Fimmg: «Gli Ascot sono nati nel pieno della crisi della medicina di famiglia per garantire assistenza ai cittadini scoperti. Oggi in tutta l’Isola sono attivi una cinquantina di ambulatori, e secondo le delibere istitutive, qui dovrebbero essere assicurate tutte le prestazioni tipiche del medico di famiglia. Ma emerge un nodo cruciale: ridurre la professione a un elenco di “prestazioni” significa non coglierne la natura profonda. La medicina generale italiana si è sempre fondata sulla presa in carico globale e sulla continuità relazionale tra medico e paziente, una continuità che oggi la ricerca internazionale collega a esiti migliori: minore mortalità, meno accessi al pronto soccorso, meno ricoveri evitabili. Laddove però questa continuità relazionale non può essere garantita – come accade proprio per le persone assistite dagli Ascot, rimaste senza un medico di riferimento – diventa indispensabile puntare su altre forme di continuità».

La continuità

Cioè: la possibilità per professionisti diversi di accedere a una cartella clinica completa e aggiornata. E la continuità gestionale, intesa come coerenza nel percorso di cura, in modo che chi subentra non debba ogni volta “ripartire da zero”. «Senza questi strumenti, la continuità delle cure resta uno slogan».

Dunque – aggiunge Contu – «gli ambulatori di prossimità non dovrebbero essere soltanto “ore di medico” sparse sul territorio, ma nodi di una rete stabile.

Molte mediche e molti medici vengono inviati ad “aprire un ambulatorio” in condizioni organizzative fragili. Inoltre, nelle aree rurali e interne a bassa densità abitativa i modelli rigidi funzionano ancora meno. Servono soluzioni più flessibili. Non è un’utopia: l’esperienza dei Nuclei di Assistenza Territoriale di Reggio Emilia mostra che è possibile affrontare lo stesso problema – cittadini senza medico di famiglia – con una governance più robusta, una centrale operativa, squadre domiciliari e una cartella informatizzata unica, condivisa da tutti i professionisti. Solo così gli Ascot potranno smettere di essere un tampone provvisorio e diventare un vero servizio di prossimità per le comunità più fragili della Sardegna, riducendo la distanza tra le parole dei documenti di riforma e ciò che accade davvero nei territori».

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