La storia

Cristina Berardi, il calvario da rapita raccontato in versi 

L’alfabetiere della sofferenza descritto dalla ex maestra a Urzulei 

Per restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp

Il suo calvario l’ha raccontato in versi, riassunto in un alfabetiere: dalla A alla Z. Ogni lettera un momento di quei 121 giorni in cui è stata privata della libertà. Cristina Berardi, ex insegnante nuorese, ha parlato per la prima volta in pubblico del suo sequestro ieri sera, nella bella chiesa di San Giovanni Battista, a Urzulei. Lo ha fatto con grande coraggio davanti a una platea composta e rispettosa. Dopo 38 anni. Era il 20 giugno 1987 quando mentre si recava a Tertenia dove insegnava, al volante della sua Y10, fu rapita dai banditi. Spavaldi più che mai, agirono in pieno giorno e sotto gli occhi di altre persone. Venne liberata dopo 4 mesi, il 19 ottobre, da una squadriglia della polizia nelle campagne di Talana.

Il racconto

Racconta dal principio con la A: «Assalto è stato lesto, mi sono trovata in meno di un minuto rapita e incappucciata». Snocciola le lettere e in versi racconta il suo calvario per lenire il dolore del ricordo che a volte si fa troppo duro. C come «Cella: luogo angusto, a volte una tendina, dove trascorro il tempo di sera e di mattina rinchiusa senza luce, ascolto suoni, voci, minacce del bosco senza ore». Gli animali sono i suoi amici durante ore interminabili e lo dice con la D di Donnola che accoglie nella tenda e le fa compagnia e divide la “merenda”. Secondo gli studi le vittime di sequestro di persona vivono un’esperienza traumatica al pari di chi ha vissuto in un campo di concentramento, ai veterani del Vietnam. «Nessuno ha mai preso in considerazione il dopo delle vittime e dei familiari». Dice anche che «uscire da un sequestro è un po’ come uscire da un coma, nel senso che hai perso le misure con la società, il mondo, stai chiuso, fermo per tanto tempo, hai perso la geografia della distanza, le misure degli spazi. Ma chi esce dal coma viene aiutato, chi torna da un sequestro no. Bisogna arrangiarsi, spesso anche lo Stato non aiuta». E lei si è dovuta arrangiare: «Sarei voluta rientrare a insegnare in Ogliastra, ma ho sofferto di molte fobie e avevo paura di viaggiare da sola». Gli stessi inquirenti dicevano che era sconveniente visto che non c’era stato il pagamento di un riscatto. Quindi ha dovuto arrangiarsi con un cambio di mansioni anche se è riuscita a trovare un’esperienza importante attivando la biblioteca in una scuola primaria dove ha lavorato e avuto un rapporto privilegiato con gli studenti. Per il suo sequestro nessuno ha pagato. Solo il telefonista Gianfranco Ara morto qualche anno fa. Nell’epilogo del racconto la lettera Z corrisponde a zaino che con i suoi reperti custoditi è andato inspiegabilmente perso: «La ragnatela tempo avvolge nel mistero colpevoli omissioni del mio sequestro nero, ma di questa storia lontana mi sono liberata e vivo un altro tempo».

L’evento

L’iniziativa è delle parrocchie di San Giovanni Battista di Urzulei e Santa Marta di Talana guidate da don Evangelista Tolu che ha coordinato l’evento. L’occasione è stata la presentazione del libro “Prigioniero del mio nome. Cronistoria di un doppio sequestro di personale” di Riccardo Devoto e del giornalista Michele Tatti. Devoto ieri sera ha raccontato quando a 15 anni sfuggì a un tentativo di sequestro e che dieci anni dopo l’Anonima riuscì invece a rapire suo zio Gigino, rimasto nelle mani dei banditi oltre 200 giorni.

RIPRODUZIONE RISERVATA

Questo contenuto è riservato agli utenti abbonati

Per continuare a leggere abbonati o effettua l'accesso se sei già abbonato.

Accedi agli articoli premium

Sfoglia il quotidiano da tutti i dispositivi

Sei già abbonato?
Sottoscrivi
Sottoscrivi