Il 19 luglio 1992 la strage di via D'Amelio.

Alle 16.58 una Fiat 126 rubata, con circa 90 chili di esplosivo telecomandati a distanza, esplode in via Mariano D'Amelio a Palermo.

Lì c'è la casa della madre di Paolo Borsellino, e il magistrato antimafia ci è appena arrivato.

Obiettivo raggiunto, per Cosa Nostra. Il magistrato muore, e con lui anche cinque agenti della scorta. Tra di loro Emanuela Loi, poliziotta di Sestu, prima donna caduta in servizio.

L'attentato si inserisce nella strategia stragista della mafia guidata dai corleonesi e da Salvatore Riina, che pochi mesi prima avevano assassinato Giovanni Falcone, il giudice che con Borsellino aveva istruito il maxi processo a Cosa Nostra, e di Borsellino era amico fraterno.

La seconda strage in pochi mesi suscitò lo sdegno della popolazione e la ferma reazione dello Stato.

Diversi gli ergastoli inflitti agli esponenti della mafia, anche a Salvatore Riina, nonostante un depistaggio nel primo processo ad opera del falso pentito Vincenzo Scarantino.

Sull'attentato c'è anche l'ombra di una possibile trattativa Stato-mafia, su cui si sono concentrate diverse Procure.

In molti sostengono che non sia mai stata fatta piena luce su quella strage. Che siano stati nascosti eventuali "mandanti politici".

(Unioneonline/L)

Luglio 2019

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