Da Caen, nel cuore dell’antica Normandia francese, al colle più alto di Roma il passo è lungo sei anni. La storia, dalle spiagge dello sbarco più celebre ai san pietrini romani, è un selciato segnato da guerre e pace, accordi e trattati, affari e confini. Ne è passata di acqua lungo la Manica da quando, il 21 marzo del 2015 a Caen, un ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, diventato poi primo ministro e commissario europeo, firmava nel silenzio più assoluto un trattato tanto segreto quanto ripudiato. Nella cittadina francese, a 200 km da Parigi, scelta per discrezione, i due ministri degli esteri, italiano e francese, siglarono quello passato alla storia come il Trattato di Caen. Il bandolo recente della matassa nei rapporti tra gli eredi di Napoleone e quelli di casa Savoia è tutto qui.

Il golpe di Caen

I firmatari di Caen erano, però, certamente consapevoli che quegli autografi in calce a quelle due pagine, dopo anni di gelo e tensioni, avrebbero dovuto aprire un nuovo fronte nei rapporti tra l’Eliseo e il Quirinale. Aveva fatto bene, però, Paolo Gentiloni a firmare quell’accordo lontano dai riflettori di Parigi e di Roma. Lui, il nobiluomo della politica italiana, aveva cercato in tutti i modi di riallacciare i rapporti Oltralpe ritenendo quel filo italo-francese fondamentale per contrapporsi all’asse franco-tedesco. Non gli andò bene. Nessuno, una volta ritornati in Italia, tantomeno Gentiloni, da lì a poco successore di Renzi a Palazzo Chigi, ebbe il coraggio di proporre alle Camere quell’accordo, da ratificare con un passaggio obbligatorio, salvo la totale inefficacia. Non se la sentì nessuno, nemmeno il segretario generale della Farnesina che avrebbe dovuto inviare quel testo a Montecitorio e Palazzo Madama perchè lo trasformassero in ratifica. In realtà quel testo risultò talmente improponibile che restò per sempre negli archivi del foreign office italiano. Se ne seppe dell’esistenza solo quando un peschereccio di Golfo Aranci, capitanato dal comandante Pietro Langiu, non venne intercettato di malo modo dai gendarmi francesi in servizio lungo il confine a mare. In realtà quei toni perentori con i quali i militari irruppero nelle acque internazionali furono talmente maldestri da suscitare una vera e propria rivolta dei pescatori sardi che bloccarono per protesta le Bocche di Bonifacio.

I gendarmi del mare

Le motovedette di Parigi, in realtà, non stavano facendo nient’altro che applicare alla lettera i nuovi confini previsti dall’accordo misconosciuto di Caen. Peccato, però, che lo sapessero solo loro. Peccato, infatti, che ignorassero, loro e i vertici dell’Eliseo, che l’Italia quel trattato non lo avesse mai ratificato, insomma, carta straccia o giù di lì.

Calvados & Vermentino

Del resto i francesi non avrebbero mai potuto pensare che un accordo siglato in pompa magna nella terra del Calvados potesse restare lettera morta in terra di Vermentino. Invece, così fu. Nell’accordo di Caen era stato deciso di modificare i confini a mare, cedendo di fatto alla Francia imponenti porzioni di specchi acquei, ad est e ad ovest, del nord Sardegna, sino ad allora acque internazionali, oltre le 12 miglia, dove da sempre i pescatori sardi, così come quelli francesi, potevano operare senza divieto alcuno. Il titolo del trattato di Caen era esplicito: «Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica Francese relativo alla delimitazione dei mari territoriali e delle zone sotto la giurisdizione nazionale tra l’Italia e la Francia».

I confini svenduti

E che si trattasse di una modifica dei confini a mare era esplicito nell’articolo uno: «La linea di delimitazione è definita dalle linee che collegano i seguenti punti». Ci sta che Gentiloni non sapesse cosa di preciso stesse firmando, in realtà, però, lo sapevano bene, molto bene, i pescatori sardi e quelli liguri, visto che quei tratti di mare “idealmente” ceduti ai francesi nient’altro erano che il cuore pulsante della pesca pregiata. Non se ne fece niente. Quell’accordo non attraversò mai il Tevere e rimase nascosto nelle segrete stanze della Farnesina, apparentemente dimenticato. Ieri sera, invece, dopo sei anni dalla parata di Caen, è atterrato a Roma nientemeno che Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica Francese. Missione venduta come storica: far risplendere i rapporti tra Italia e Francia.

Gli annunci di Stato

Gli annunci sono quelli soliti che si moltiplicano ogni volta che un Capo di Stato estero varca i confini di Campo Marzio e del quartiere Monti. Incontro che riscrive la storia, esultano i narratori delle storie di Palazzo. In realtà Macron & Draghi si incontrano dopo una trattativa che, raccontano i diplomatici italo-francesi, è durata proprio sei anni, dalla firma dell’accordo di Caen ad oggi. In Normandia, infatti, Gentiloni e il suo omologo, nel 2015, non firmarono solo l’accordo per cambiare i confini a mare tra la Sardegna e la Corsica, ma inanellarono una serie di affari di Stato, dalle armi all’industria, tutti funzionali al “rafforzamento” del rapporto tra i due Stati. Ieri sera nel cuore della Capitale una buona dose di cerimoniale e salamelecchi, stamane, invece, si ritorna nel Colle più alto per firmare quello che è già iscritto negli annali come il «Trattato del Quirinale». Sergio Mattarella, inquilino ancora per qualche mese del Palazzo più importante, ospita la firma in calce di Macron e Draghi. Del contenuto di quei fogli vergati con le effigi di Stato, però, nessuno sa niente. In Parlamento si leva qualche protesta, qualcuna silenziosa, qualcun’altra rumorosa, per contestare la segretezza di un accordo blindato come pochi, quasi come quello di Caen.

Gli spifferi francesi

Gli unici spifferi sul contenuto sono di fonte francese e raccontano solo i capitoli del Trattato: “La convergenza delle posizioni francesi e italiane, così come il coordinamento fra i due Paesi per la politica europea ed estera, per la sicurezza e la difesa, per la politica migratoria e per quella economica, ma anche per i settori dell’istruzione, della ricerca, della cultura e per la cooperazione transfrontaliera”. E’ la segretezza sull’accordo che tiene accesa la spia rossa su quel trattato di Caen mai ratificato. Ora, però, le condizioni sono cambiate: di fatto non ci sono opposizioni al governo Draghi in grado di sovvertire un accordo siglato con tanta pompa magna. Se gli sherpa di casa e quelli francesi nel capitolo della cooperazione “transfrontaliera” hanno inserito nuovamente lo scippo di Caen ci sarà poco da fare. Gli affari delle armi, delle telecomunicazioni, dei cantieri navali varranno bene il sacrificio dei confini sul mare della Sardegna. Dopo Caen, oggi si firma al Quirinale.

© Riproduzione riservata