Così lontana, così vicina. Entra in casa la guerra, quella dei confini, del primato della storia, delle minacce reciproche, della sfida atavica e tribale tra Occidente e Oriente. È la guerra delle armi, quelle tradizionali e micidiali, quelle capaci di cancellare in un attimo civiltà e genti, di riportare indietro di secoli il calendario dell’Uomo. È la guerra dell’energia, del gas, del petrolio. È la disfida dei potenti, che con le parole, quelle dette e non dette, hanno riportato il cuore dell’Europa sul baratro del conflitto più nefasto della storia. Duemilasettecento chilometri di mare e strade per collegare Cagliari con Kiev, tanto lontane quanto a due passi. Basta un interruttore, basta una bolletta, per capire quanto l’Ucraina e la Russia siano dentro casa, la nostra. Si combatte ad Oriente, nell’est dell’Occidente, secondo chi traguarda i confini.

Pagano i sardi

Eppure quei carri armati, quegli elicotteri Alligator che entrano a volo di pernice, radenti come non mai, sulle terre d’Ucraina gettano la Sardegna, più di altri, nel tracollo di settori trainanti dell’economia, da quella domestica a quella agropastorale. Da mesi i mercati, quelli della domanda e dell’offerta, lo avevano capito. Sulla morsa che si stava stringendo ad est c’erano i margini non solo per la più imponente speculazione energetica del secolo, ma addirittura per ribaltare i rapporti di forza nello scacchiere mondiale. La Sardegna, in tutto questo, sarà la terra d’Europa che pagherà più di tutti, in termini economici, la grande crisi del gas, la guerra del metano e del suo approvvigionamento. Nell’Isola dei Nuraghi, infatti, si sta consumando una delle più grandi beffe della storia energetica dell’Europa.

Rubinetti chiusi

I rubinetti semichiusi, le condotte ai minimi termini, la guerra esplosa con l’impeto e la voracità di un impero che cerca di riprendersi spazi e potere, hanno messo l’Occidente spalle al muro. Quando le economie più avanzate non hanno energia, quando non hanno gas e petrolio per poter accendere un fornellino o mettere in marcia una fabbrica, finiscono per saltare per aria, sotto scacco di chi ha metanodotti e idrocarburi. Vaglielo a spiegare al centro commerciale di Nuoro che quella bolletta alle stelle, che gli è stata appena recapitata, è figlia di questa guerra lontana mille miglia dalla terra decantata da Grazia Deledda. Lo scorso anno, stesso bimestre del 2022, nel cuore commerciale della capitale nuorese, avevano sborsato 27.795 euro di energia elettrica, quest’anno, alla vigilia della nuova guerra, il salasso preUcraina era stato di ben 66.951 euro. E che dire allo studente in trasferta in un bugigattolo nel centro storico di Cagliari che si è visto quintuplicata la bolletta degli ultimi due mesi, da 56 euro a 254. C’è da domandarsi: cosa c’entra la Sardegna con la Russia e il gas russo?

Isola isolata

Guardando le reti di adduzione primaria, quelle che connettono i grandi produttori-estrattori di gas con l’Europa e l’Italia, ci si rende conto di quanto l’Isola di Sardegna sia isolata nel mondo. Isolata ovunque, nemmeno una parvenza di linea tratteggiata, simbolo di una speranza futura. Nessun metanodotto in grado di metterla alla pari della più lontana regione d’Occidente. Qui, in questa terra di vento e sole, il metano non è mai arrivato. E, forse, non arriverà mai. Per stoltezza della storia, per cecità politica, ma più probabilmente per i grandi interessi che ruotano proprio sul grande tema dell’approvvigionamento del gas. Fatto sta, però, che i sardi, oggi più che mai, sono vittime della grande beffa. Nei mesi prima dell’incursione russa, e sarà molto peggio nei prossimi, hanno pagato un costo esorbitante dell’energia elettrica. I titoli di tutti i giornali del mondo traducono: manca il gas, alle stelle il costo dell’energia elettrica. La domanda sorge spontanea: per quale motivo i sardi, che non hanno mai avuto il metano, devono pagare in bolletta l’aumento mondiale del gas? È un paradosso senza alcuna giustificazione accettabile.

Sotto scacco

La Sardegna è sotto attacco energetico, costretta a pagare la vertiginosa ascesa del prezzo del metano senza averlo mai avuto. Sembra uno scherzo, ma non lo è. I sardi si vedranno moltiplicare all’inverosimile il costo della bolletta, ma la loro energia viene ancor oggi prodotta all’ 80% da un fossile, il carbone, che non vale più niente. Quella che sarebbe una condizione di vantaggio, a prescindere dal fattore ambientale, superabile da tecnologie avanzatissime per la cattura e lo stoccaggio di CO2, si è trasformata in una condanna senza appello. La Sardegna deve pagare sino in fondo gli aumenti del metano, nonostante non sappia nemmeno cosa sia.

Paghiamo tre volte

Un costo che moltiplica per tre gli svantaggi energetici dell’Isola. La prima grande penalizzazione è legata al fatto che la Sardegna non ha mai avuto il gas, un limite che i sardi hanno pesantemente pagato negli ultimi 50 anni sia in termini di costi che di vantaggi ambientali. La seconda è direttamente connessa con la guerra del gas, quella tra Occidente e Russia, con le bollette soggette a rincari sino ad oggi dichiarati del 55%, ma che hanno certamente ulteriori sovraccosti per la condizione insulare. La terza grande discriminazione è legata ad uno scenario scandaloso dove lo Stato e le lobby energetiche hanno impedito e stanno impedendo sistematicamente alla Sardegna di godere di una propria autonomia energetica, possibile e doverosa per una regione insulare e ultraperiferica. Ora la storia sarà nuovamente riscritta. I terminali di rigassificazione che si volevano realizzare per la Sardegna, con quel decreto energia, già vecchio prima di entrare in vigore, saranno dirottati verso gli hub nazionali, dove già esistono le reti di distribuzione.

Rischiamo il buio

Pensare di chiudere le centrali sarde a carbone nel 2025, anche ipotizzando una fine immediata del conflitto, è al giorno d’oggi pura follia. Significherebbe lasciare la Sardegna al buio. Bisognerà, dunque, in tutta fretta ritornare a quelle scelte tecnologiche avversate dalle lobby energetiche per installare tecnologie moderne di cattura e stoccaggio della CO2 nelle centrali sarde, sia a Portovesme che a Porto Torres, in grado di dare all’Isola una prospettiva energetica certa e stabile per non meno di 20/30 anni, il tempo necessario per costruire una vera alternativa basata sull’utilizzo serio e non speculativo delle energie rinnovabili, da destinare alla produzione di idrogeno verde, in grado di rendere la Sardegna totalmente indipendente da condizionamenti esterni, a partire dai conflitti mondiali.

Ore 3.51, cambia la storia

Occorre prendere atto che lo scenario energetico mondiale, dalle 3.51 della notte scorsa, è cambiato per sempre. Bisognerà affrancarsi da condizionamenti che, in cambio di gas e petrolio, finiscono per minare alla radice gli stessi valori della democrazia e della libertà. Il conflitto esploso la notte scorsa non è tra la Russia e l’Ucraina. È molto di più. E la Sardegna non può continuare a pagare scelte e conflitti che non le appartengono. L’Arera, l’Autorità dell’Energia, sostiene che «per l’elettricità, nel periodo aprile 2021-marzo 2022, la famiglia-tipo si ritroverà a spendere 823 euro, il 68 per cento in più rispetto al periodo precedente (aprile 2020-marzo 2021)». Nella stessa nota l’Autorità dichiara: «l’aumento del costo dell’energia è legato all’aumento internazionale del costo del gas».

È falso

Per la Sardegna è semplicemente falso. In questa terra non c’è il gas, né russo né ucraino, non ne arriva dall’Italia e tantomeno dall’Europa. Basti un dato per comprendere che per i sardi è improponibile farsi carico di quanto sta accadendo nel mercato spot del gas, quello all’ingrosso, giornaliero, del gas naturale dove il prezzo è cresciuto di quasi il 500 per cento, passando da 21 a 120 euro al megawattora. L’Italia dipende dal gas della Russia per 28,5 miliardi di metri cubi, ovvero il 40,7% dei suoi consumi. Il resto arriva dall’Algeria, il 21%, dal Qatar, il 10%, dalla Norvegia un altro 10% e il 6,2% dalla Libia. Altri approvvigionamenti da altri paesi sono più limitati. L’invasione di Putin è lo scontro titanico per l’energia, per il gas soprattutto. Se l’Italia dovesse decidere di imporre sanzioni alla Russia, probabilmente, dovrebbe prepararsi ad una doccia fredda, per l’economia e per il futuro.

Ripensare il futuro

Ora, forse, l’Europa e lo stesso Bel Paese dovranno rimettere mano al dossier Galsi, il metanodotto Algeria-Sardegna–Europa, quello che le potenti lobby del gas e del petrolio bloccarono in ogni modo per continuare a speculare a piene mani, fino alla guerra di queste ore. Ora, però, la terra dei Nuraghi paga il gas, quello russo, a caro prezzo, senza averlo mai visto nemmeno da lontano.

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