L’affaire eolico si tinge di giallo e di rosso. Il “giallo” è quello dello scontro titanico tra Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e il Ministero delle Infrastrutture, quello di Porta Pia. Il “rosso”, quello del Thunnus thynnus Linnaeus, il tonno rosso di casa nelle acque di Carloforte che, secondo le carte della Capitaneria di Porto di Cagliari, potrebbe essere messo a rischio da quelle pale ciclopiche piazzate in mezzo al mare davanti all’Isola di San Pietro. C’è di tutto e di più nel nuovo progetto di invasione eolica sbarcato qualche ora fa alle porte del molo Ichnusa, nella sede della Capitaneria di Porto di Cagliari.

Danesi a San Pietro

Il nome era già spuntato nella nostra inchiesta sull’eolico a mare, ma ora c’è l’ufficialità: Istanza concessione demaniale per la durata di 30 anni di aree marittime e specchi acquei nel mare territoriale della Sardegna per realizzare un parco eolico galleggiante con 35 pale da 300 metri l’una da piazzare in faccia all’Isola nell’Isola. Proponente Thalassa Wind, una modesta società a responsabilità limitata, con un capitale di dieci mila euro che si candida a realizzare un progetto miliardario nelle coste del sud Sardegna. In realtà dietro quella “responsabilità limitata” c’è ben di più. A partire da Leopoldo Versace che dell’operazione è il rappresentante legale, ovvero uno degli uomini più in vista di Vestas nel mondo, una delle più grandi produttrici di pale eoliche al mondo. L’azionista della scalata al mare di Carloforte, infatti, è la Wind Power Development, uffici nel quartiere generale dell’affare del vento in Danimarca, interessi globali, dai paesi del Golfo al mare di “U Pàize”, il nome tabarchino dell’Isola di San Pietro. Lo dichiarano loro stessi, società indirettamente e interamente controllata da Vestas Wind System, operatore leader a livello mondiale nel settore della fabbricazione, installazione e manutenzione. La sintesi è semplice, dal produttore al consumatore.

Partita di giro

Loro le pale le producono, le piazzano, le gestiscono, e sempre loro, i danesi, si portano a casa miliardi di incentivi dello Stato italiano, “guadagnati” nel mare di Carloforte, facendo girare le eliche con il vento di Sardegna. La partita di giro, qui nella via sarda dei tonni rossi, è un affresco in mare aperto: l’Europa ha regalato all’Italia, con il placet dei riottosi paesi del nord Europa, 209 miliardi di euro, una parte a fondo perduto e una da restituire, l’Italia stanzia una parte importante per finanziare l’eolico offshore e guarda caso all’incasso si presentano proprio loro, i danesi, quelli riottosi che non volevano concedere il “debito-bond” condiviso all’Italia. Devono aver ottenuto rassicurazioni importanti se poi, alla fine, hanno ceduto. E ora presentano le pale all’incasso. Non sempre, però, tutte le ciambelle escono con il buco, anzi. Il progetto di Thalassa in un attimo fa calare la maschera su quanto sta accadendo nei palazzi del potere di Roma con la Sardegna vittima sacrificale che per il momento sta a guardare. Il “giallo” è tutto nello scambio epistolare riservato tra Capitaneria di porto, Ministero delle Infrastrutture e nientemeno che la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dai documenti in nostro possesso emerge uno scontro frontale, senza mezze misure, tra il dicastero di Enrico Giovannini, lo statistico prestato ai lavori pubblici, e il Rappresentante Unico delle Amministrazioni statali di stanza proprio negli uffici di Draghi, nel cuore di Palazzo Chigi. Era stato quest’ultimo, in qualità di supervisore e garante dell’unitarietà dell’azione statale ad esprimere “perplessità” sulle procedure della Capitaneria di Porto di Cagliari. Con una nota ufficiale lo aveva persino messo nero su bianco il 23 giugno scorso, mettendo in discussione «la correttezza dell’iter amministrativo seguito alla luce del nuovo quadro normativo di recente intervenuto in materia».

Tra due fuochi

La Capitaneria di Cagliari, schiacciata tra due fuochi, tra Porta Pia e Palazzo Chigi, il 14 luglio scorso ha comunicato che avrebbe sospeso tutte le procedure riguardanti le pale eoliche a mare se non fosse intervenuta una disposizione precisa da parte del ministero competente. Il dispaccio di Roma ha varcato il protocollo del Molo Ichnusa il 18 luglio scorso ed è tranchant: «Con riferimento a quanto richiesto da codesto Comando ….con riserva di fornire indicazioni ed ogni elemento utile, una volta acquisito il riscontro da parte del MITE, si evidenzia che, ad avviso della Scrivente, le procedure istruttorie avviate non possano essere sospese». La sostanza è un cazzotto in faccia a Palazzo Chigi. La disposizione del dicastero di Giovannini è, dunque, senza appello: fregatevene di quanto dice la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella fattispecie il Rappresentante Unico delle amministrazioni statali, chi decide la procedura siamo noi e nessun altro. Con tanti saluti. In pratica il Ministero delle Infrastrutture ordina: con le pale eoliche a mare avanti tutta. Uno scontro titanico tra poteri dello Stato, imbarazzante persino per un Comandante di Capitaneria che gerarchicamente dovrebbe dipendere dal Ministero della Difesa anche se funzionalmente inquadrato nel Ministero delle Infrastrutture.

Vita umana in mare

Tutto questo, però, non impedisce al Capitano di Vascello Mario Valente, Comandante della Capitaneria di Cagliari, di vergare per iscritto una posizione che un uomo di mare non può occultare nemmeno davanti ad ordini superiori: «Per gli esclusivi aspetti di competenza, sotto il profilo di sicurezza della navigazione marittima, salvaguardia della vita umana in mare e di polizia marittima, si evidenzia la necessità di una pianificazione preliminare delle aree da destinare all’ubicazione degli impianti eolici, dal momento che la loro coesistenza potrebbe in futuro interferire sui traffici e sulle attività di pesca nonché avere interazioni con lo spazio marittimo di altri Stati». In poche righe il Comandante scrive tutto. Tradotto dal gergo “british” dei graduati di Stato alla sostanza delle questioni significa: con questa invasione eolica, scriteriata, senza alcuna logica e pianificazione si mette a rischio la sicurezza marittima, la salvaguardia della vita umana in mare e la stessa polizia marittima. Il messaggio è chiaro: sappiate che questo far west è insostenibile. Ma ci sono altri due elementi in quelle poche righe che fanno emergere una posizione della Capitaneria sibillina ma eloquente: la pesca e gli Stati stranieri. Le rotte del “rosso”, il tonno tipico di Carloforte, secondo le valutazioni scandite nella nota di pubblicazione del progetto dei danesi di Thalassa, sono a rischio.

Tonno Rosso

Scrive la Capitaneria: «Sono state, infatti, evidenziate possibili limitazioni alle attività di pesca e all’ancoraggio che l’impianto, per la parte ricadente nel mare territoriale, potrebbe arrecare in termini di vibrazioni e rumori, sull’ambiente circostante, in particolare, in ordine alle possibili eventuali interferenze degli impianti con le rotte di migrazione del tonno rosso (Thunnus thynnus Linnaeus), che è attività di primaria importanza per l’Isola di San Pietro». Sotto attacco ci sarebbe una delle attività economiche più rilevanti della pesca in Sardegna, capace di creare a Carloforte un vero e proprio indotto di grande rilievo. Piazzare quelle ciclopiche pale, nel progetto è stata indicata l’altezza di 300 metri d’altezza fuori dal livello del mare, significa attentare senza possibilità di rimedio a rotte naturali che verrebbero compromesse permanentemente.

Pesca esplosiva

C’è un altro passaggio che sulla pesca la Capitaneria fa rilevare il carico “esplosivo” su quell’area di mare: «Inoltre, l’area richiesta per la realizzazione dell’impianto eolico offshore potrebbe ridurre ancor più le zone abituali di pesca per le piccole e medie unità, in parte già ridotte a seguito dell’emanazione di ordinanza di interdizione per lo svolgimento di attività militari addestrative svolte nel limitrofo poligono militare di Capo Teulada». Come dire, non bastavano le navi militari a bombardare fondali turchesi e vietare ai comuni mortali e pescatori infiniti specchi acquei, adesso si vuole segregare anche questo nuovo spazio di mare, pari a un milione e mezzo di metri quadri di acque davanti all’Isola di Carloforte.

Carloforte d’Algeri

Il progetto di Thalassa, però, rischia di scatenare anche un caso internazionale. È sempre la Capitaneria a far rilevare un elemento di una gravità inaudita. Davanti a Carloforte, subito dopo la linea delle acque internazionali, c’è la competenza di uno Stato estero. Il comandante non lo dice, ma sa perfettamente a cosa si riferisce. L’Algeria, infatti, ha esteso la propria Zona Economica Esclusiva, proprio alle porte dell’Isola di San Pietro, occupando le acque internazionali sulle sponde occidentali sino a Bosa. Uno scippo che si sta consumando senza colpo ferire, con Palazzo Chigi intento ad ossequiare i palazzi di Algeri per un po’ di gas, rinunciando a difendere, per sempre i propri confini a mare, consentendo agli “amici” algerini di accaparrarsi le acque internazionali davanti a casa. Ora, però, il caso rischia di esplodere. I danesi, con il via libera del Ministero delle Infrastrutture, vanno dritti verso la Conferenza dei servizi, già convocata per il sette novembre prossimo.

Il 14 settembre il Tar

Per fermare questo scempio ci sono, per adesso, tre sole strade: il Tar del Lazio, la Corte Costituzionale e l’Algeria. Intanto, il 14 settembre, al Tribunale amministrativo della Capitale, è stata fissata la prima udienza per il ricorso della Regione sarda contro il Decreto Energia. La guerra è appena agli inizi.

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