Non si può dire, ma la sequenza delle date e degli eventi è molto più di una prova. L’operazione “occupazione mare sardo”, quello davanti alle coste dell’Isola di Sardegna, messa in campo dall’Algeria, va ben oltre un colpo di testa del governo del Maghreb, quello più occidentale. I risvolti sono scanditi con report riservati degli analisti della Difesa e di intelligence economiche, tutti protesi a capire come l’Italia si stia muovendo nello scacchiere energetico del Mediterraneo. In questo caso a raccontare gli scenari sono documenti e affari, tutti giocati alle porte di casa, con l’implicita complicità di soggetti ben identificati, e più in generale del sistema Italia, sotto schiaffo di un ricatto latente di cui nessuno parla esplicitamente, ma che si tocca con mano in ogni anfratto dei Palazzi di Roma. A dettare la linea, o meglio imporla, è l’Eni.

Abbuffata di profitti

Dopo aver preteso storicamente di far dipendere l’Italia da due soli grandi fronti di approvvigionamento di gas, la Russia e l’Algeria, adesso tenta la politica del pannicello caldo, pur di non mettere a rischio la grande abbuffata degli extra profitti che gli ha portato in cassa una trimestrale da mille e una notte. Insieme agli americani che venderanno a caro prezzo il Gnl all’Europa, e dunque all’Italia, a guadagnare a piene mani sarà proprio l’Eni. I conti del “cane a sei zampe”, nel periodo gennaio-marzo 2022, quello del primo trimestre di guerra, registrano un utile netto superiore ai 3 miliardi di euro, rispetto ai 270 milioni di euro dello stesso periodo del 2021. Per le multinazionali di Stato la “regola aurea” è quella di mantenere il livello di approvvigionamento energetico sotto controllo, ovvero sempre meno di quello che serve. Giusto per tenere il mercato in tensione ed evitare che i prezzi di gas e petrolio si abbassino troppo. Quello che è accaduto in questo primo periodo di guerra è emblematico: meno gas risultava a disposizione e più le compagnie petrolifero-energetiche hanno guadagnato.

Sotto scacco

Tutto questo spiega anche il motivo per il quale l’Eni non voglia realizzare, o tantomeno far realizzare ad altri, nuove infrastrutture di approvvigionamento di gas, nonostante lo scenario strategico mondiale in Occidente sia irrimediabilmente mutato. La logica è quella di tenere tutto sotto controllo, a partire dai governi, da quelli di casa sino a quelli sulla sponda opposta del Mediterraneo, dall’Italia all’Algeria. E proprio ora che il tema della Difesa, quella militare, ritorna sul tavolo delle analisi di Stato emergono elementi che lasciano pochi margini di dubbio: l’Italia è sotto scacco energetico non solo della Russia, ma anche e soprattutto dell’Algeria. Nel caso del Paese del Maghreb i risvolti che emergono dalle analisi degli istituti di intelligence sono, però, molto più delicati. In ballo, infatti, non c’è solo l’approvvigionamento del gas in grado di alleviare la dipendenza da quello russo, ma vi è una partita sulla quale lo Stato italiano sta facendo “orecchie da mercante”, ovvero la “cessione” gratuita all’Algeria delle acque internazionali del Mediterraneo occidentale, quello davanti alle coste della Sardegna. Un’operazione che in queste ore sta rimbalzando agli onori delle cronache non foss’altro per le implicazioni strategiche, militari ed economiche nel mutato scenario bellico tra Russia e Occidente. Lo “scippo” del mare sardo, infatti, cela segreti e complicità, tanti affari e mille risvolti di natura internazionale. In tutto questo la Sardegna perderà tre volte: non avrà il metanodotto Galsi di connessione tra il Maghreb e l’Isola, non potrà mai utilizzare le riserve di gas davanti alla sua costa, si troverà davanti alle porte di casa uno Stato, l’Algeria, totalmente legato allo Zar di Russia. A segnare tutti questi passaggi sono date e riscontri oggettivi. Prima di tutto lo studio americano di cui abbiamo riferito ieri. Un rapporto rimasto secretato negli uffici dei ben informati, predisposto dall’Agenzia Geologica del Governo degli Stati Uniti d’America per monitorare il potere economico degli Stati in base alle disponibilità energetiche. Un piano d’analisi che i geologi a stelle e strisce hanno messo a punto dividendo il mondo in 8 regioni e 937 province geologiche, poi classificate in base ai potenziali di petrolio e gas. Di queste “province” energetiche mondiali, 76 sono definite “prioritarie”e 26 “boutique”. Lo scopo del World Energy Project, il progetto mondiale dell’energia, predisposto direttamente per il Capo della Casa Bianca, non aveva, come è evidente, l’obiettivo di verificare il livello democratico dei singoli Paesi o la loro affidabilità, ma quello di accertare quanto petrolio e gas disponevano per i prossimi 30 anni. Per questo motivo tra le punte eccelse, sul piano delle potenzialità, è stato messo il “sistema petrolifero totale premessiniano del Bacino della Provenza, Mar Mediterraneo occidentale”.

Il tesoro nel mare sardo

Un perimetro che aggancia Francia, Italia e Algeria, Isole Baleari, la Corsica, e soprattutto l’Isola di Sardegna, letteralmente inglobata in questo mare di gas. Uno specchio acqueo dalle dimensioni inimmaginabili, ben 300.000 chilometri quadrati. L’analisi dell’Agenzia americana per la prima volta ha messo nero su bianco numeri stratosferici: il bacino “Sardo – Algero – Provenzale” sarebbe dotato di un potenziale di 51 trilioni di piedi cubi (1,4 trilioni di metri cubi) di gas, 0,42 miliardi di barili di petrolio e 2,23 milioni di barili di gas naturale liquido. Insomma, un terzo del potenziale attuale di tutta l’Algeria. Tutto questo avrebbe dovuto scatenare le attenzioni dell’Italia, la prima ad avere davanti alle sue coste un potenziale infinito di risorse energetiche strategiche. In realtà l’unica a non fare niente è stata proprio la Patria dell’Eni. Le domande sorgono spontanee: in Italia erano tutti all’oscuro dello studio americano? Non si sono mai occupati di verificare se davanti a casa c’erano gas e petrolio? Oppure, sapevano e hanno colpevolmente taciuto pur di favorire le lobby energetiche? La sequenza dei fatti è disarmante: il 18 marzo del 2018 il Presidente dell’Algeria firma un decreto unilaterale che istituisce la Zona Economica Esclusiva a largo delle coste sarde. La “Repubblica Democratica e Popolare d’Algeria” occupa di punto in bianco uno specchio acqueo che si estende oltre i 370 km dalle proprie coste, sull’altra sponda del Mediterraneo, fino ad arrivare al cospetto di Alghero, dopo aver costeggiato Carloforte, Tharros e Bosa. La comunicazione alle Nazioni Unite è immediata.

Dorme l’Italia complice

Passano appena sette mesi e, senza che l’Italia abbia ancora mosso un dito per bloccare quell’ “invasione algerina” nel mare di casa, le agenzie internazionali battono una notizia destinata a spiegare molte cose: «Eni, Sonatrach e Total hanno firmato due protocolli d’intesa che prevedono l’istituzione di una partnership “esclusiva” per l’esplorazione nell’offshore algerino, in una provincia geologica praticamente inesplorata». È Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, lo stesso che porta a passeggio capi di Stato e uomini di Governo per incrementare le pressioni di gas da altri Stati, ad affermare: «Con Sonatrach e Total avremo la possibilità di esplorare le acque profonde dell’offshore algerino». In pratica l’amministratore delegato di Eni sa già tutto, conosce lo studio americano, ed è perfettamente consapevole che l’offshore algerino è quello della Zona Economica Esclusiva appena istituita dagli algerini nelle acque internazionali, a diretto contatto con il mare sardo. Il Governo italiano, però, siamo al governo Conte uno, continua a dormire. Il Ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, protesta formalmente all’Onu, il 28 novembre del 2018, ben 8 mesi dopo il decreto algerino che aveva istituito la Zona Economica Esclusiva. Il primo contatto ufficiale tra il Governo italiano e quello algerino avviene il 2 marzo del 2020, ma la delegazione di Roma rientra a casa con un modesto, e inutile, Comitato per discutere il perimetro esterno dell’occupazione algerina sul mare di Sardegna. Degli esiti di quel comitato non si saprà più niente. Il 14 giugno del 2021 il parlamento italiano vara una legge per l’istituzione di una zona economica esclusiva oltre il limite esterno del mare territoriale. Sarebbe dovuta essere la risposta all’Algeria. Sono passati 11 mesi e il Governo Draghi non ha mai nemmeno accennato alla deliberazione da proporre al Capo dello Stato per istituire la zona esclusiva italiana, per fermare l’invasione algerina. Silenzio assoluto. Anzi, ad Algeri, Draghi della questione non proferisce parola. C’è da ottenere l’elemosina di un po’ di metano in più dall’Algeria, che in cambio, però, si prende tutto il gas e il mare davanti alla Sardegna.

Affari russi in Algeria

C’è una contropartita che, però, non si può dire: in Algeria fa tutto l’Eni. Peccato che nel maggio 2020, però, Sonatrach, l’Eni algerina, abbia firmato un Memorandum d’intesa con la russa Lukoil per una partnership nella produzione ed esplorazione nel Paese nordafricano. E lo scorso settembre il colosso energetico russo Gazprom ha annunciato di collaborare con l’Algeria. Non è finita: sempre la Sonatrach ha comunicato al mondo che il giacimento di gas di El Assel, in joint venture con la russa Gazprom, inizierà la produzione nel 2025. Ultimo appunto: l’Algeria è stata una dei 35 paesi astenuti al voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contro l’invasione della Russia in Ucraina.

Caccia e sommergibili

C’è un motivo, che va ben oltre gli accordi tra Russia e Algeria sul fronte energetico: la Russia è il Paese che sta modernizzando le forze armate algerine. Algeri, da Putin, ha già ordinato i primi 14 cacciabombardieri Sukhoi Su-34 da attacco al suolo, mentre per il settore navale Mosca sta dotando il suo alleato nord africano dei mezzi più moderni: in arrivo due nuovi sottomarini di fabbricazione russa. Tutto per controllare e dominare il mare di Sardegna, quello espropriato in nome e per conto degli extra profitti di Stato.

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