"Non dovete in alcun modo muovervi se non in una giornata nuvolosa e coperta". Le disposizioni rigide come ordini sono vergate in un pezzo di carta non proprio satinata. La missiva era destinata ai sequestratori di un funzionario diplomatico afgano, detenuto, dal settembre 2008 alla fine del 2010, in una casa in affitto nella città pakistana di Peshawar. La grafia incerta e incomprensibile ha la firma del terrore: Osama Bin Laden. Il papiro è in un faldone imponente di carte secretate e cablogrammi che la Cia, la più grande organizzazione di intelligence del mondo, ha prima sequestrato e poi affidato all’Office of the Director of National Intelligence, il dipartimento americano dei servizi segreti. L’ordine perentorio dell’ideatore dell’attacco alle torri gemelle di New York, quello di “non muoversi se non sotto le nuvole”, è catalogato nel capitolo: droni kamikaze armati. Subito dopo l’uccisione di Bin Laden, il 2 maggio del 2011, gli uomini dell’Operation Neptune Spear hanno svuotato ogni involucro della vita accampata del numero uno dei terroristi mondiali. Gli analisti americani per settimane hanno setacciato in lungo e in largo tutti i tracciati digitali e cartacei recuperati alla ricerca di indizi utili per ricostruire strategie e movimenti dei terroristi. Un dato emerge con un’ossessiva preoccupazione nelle disposizioni del capo supremo di al-Qaida: neutralizzare in ogni modo l’azione dei droni armati, quelli americani prima di tutto.

Il sogno di Bin Laden

Poi, in quelle carte segrete, il sogno recondito e raccontato di Bin Laden: possedere, lui, quei droni armati da lanciare oltre il confine, tra i supermercati e le piazze gremite di gente. E’ l’altro volto della corsa infinita alle “munizioni vaganti”, quei droni senza pilota che inseguono bersagli a decine di chilometri, capaci di colpire il bersaglio, così come di finire su inermi famiglie innocenti, ospedali e scuole. Eppure la corsa a quei velivoli spietati con guida a distanza, lanciati da terra, rischia di rivoluzionare i conflitti, capaci di trasformarsi in una vera e propria strage di innocenti. Sono scappati tutti dall’Afghanistan: gli americani con un trattato di fuga sottoscritto sotto l’egida dei nemici del Qatar e gli europei senza bisogno di accordi farsa. Sono ritornati i talebani, in quella terra contesa, terroristi in casa loro, ora, però, con le armi più evolute, quelle degli occidentali. Il sogno di Bin Laden si materializza: droni di ultima generazione, armati di munizioni letali, in mano ai pronipoti di al-Qaida. Lo raccontavano i latini, «Si vis pacem, para bellum», se vuoi la pace prepara la guerra. Lo hanno tradotto in “vangelo” gli uomini delle industrie belliche: per loro l’importante è produrre strumenti di morte, meglio se riescono a scatenare qualche conflitto, giusto per rimpinguare il grande mercato delle armi. Poco importa se, poi, quegli strumenti letali finiscono su uno scuolabus carico di bambini, che siano afghani o yemeniti, occidentali o americani.

Sterminio civile

Ad agosto scorso, per esempio, gli americani, in piena fuga dall’Afghanistan assediata dai talebani, pensavano di contrastare quell’avanzata giocando a guardia e ladri. Un drone armato a stelle e strisce, con tanto di missile, ha prima inseguito e poi dilaniato un povero cristo, Ezmarai Ahmadi, dipendente di Nutrition and Education International, un’organizzazione internazionale di aiuti umanitari. Insieme a lui è stata falcidiata un’intera famiglia, in tutto 10 civili, tra cui 7 bambini. Biden, il Presidente degli States, nel tentativo di un gesto riparatore, si è offerto di ripagare con un risarcimento la famiglia di Kabul. Niente, però, ha insegnato quel rovesciamento afghano. Nelle mani dei talebani sono finite armi, munizioni, sofisticati equipaggiamenti con tanto di visori notturni, 2000 jeep corazzate, aerei e soprattutto i droni armati americani. Il grande vantaggio dell'esercito afghano, scappato a gambe levate, è finito di punto in bianco nelle mani dei talebani, i nemici dell’Occidente. Ora il monito internazionale, inascoltato e ignorato, si leva dal palazzo di cristallo di New York, sede dell’Onu.

Il monito dell’Onu

A parlare è l’avvocato Christof Heyns, relatore dell’Onu per l’antiterrorismo: “Con l’uso dei droni vengono messi a rischio cinquant’anni di diritto internazionale”. Eppure, nonostante la comunità internazionale si agiti dinanzi a questi nuovi armamenti già dichiarati di fatto fuorilegge dall’Onu, c’è chi non si ferma dinanzi al sogno di armare gli Stati per missioni teleguidate a distanza, con tanto di droni kamikaze. E’ la nuova frontiera del guadagno a piene mani per le industrie belliche, le uniche che per moltiplicare i propri introiti devono “sperare” in guerre vere e proprie in grado di rimpinguare, senza una fine, arsenali e casseforti societarie. Il sottobosco silenzioso e segreto dell’industria bellica ha, già, cominciato le grandi manovre per assecondare il sogno recondito di generali e guerrafondai di mezzo mondo di dotarsi di droni armati per scorrazzare con missili in cielo all’inseguimento di terroristi, con il rischio di finire su scuolabus, famiglie e ospedali.

Finta pacifista

E’ in questo scenario che i dossier segreti fanno emergere atti e contratti che trasformano l’Italia costituzionalmente pacifista in un’agguerrita concorrente nell’affare dei kamikaze volanti. E, come spesso capita, la Sardegna diventa la terra promessa per queste nuove armi letali, in grado di annientare, a distanze rilevanti, ogni genere di bersagli, inseguendoli e dilaniandoli senza un domani. L’operazione Sardegna e droni kamikaze è secretata. Il più fulgido articolo della Costituzione italiana, l’undici, è chiaro come pochi: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Ignari della disposizione sovrana, a fine 2021, in piena emergenza Covid, prima dei botti di capodanno, il Governo, con il ministero della Difesa ha trasmesso alle Camere un decreto blindato: solo titolo e sommarie descrizioni. L’incipit, però, non lascia adito a dubbi: decreto ministeriale A/R n. SMD 6/2021, relativo all'acquisto di munizioni a guida remota per il comparto Forze speciali. Tradotto droni armati, loitering ammunitions, munizioni vaganti. Il decreto è “urgente”, scrive il Governo. In pratica “droni kamikaze o droni suicidi". Il mandato all’acquisto è un assaggio: subito 3,9 milioni di euro. Tra le righe del documento secretato si legge l’urgenza della fornitura: l'acquisto risponde alle "necessità operative immediate della componente Operazioni Speciali" e alla "autodifesa delle unità di Forze Speciali isolate in teatri operativi". Quali siano i teatri operativi e dove l’Italia sia impegnata in missioni borderline tra guerra e pace, però, non è dato sapersi.

Acquisto vietato

Di certo la Costituzione, la legge delle leggi, vieta all’Italia qualsiasi azione di guerra, figuriamoci l’utilizzo di droni teleguidati non catalogati in nessuna delle disposizioni della Nazioni Unite e ritenute fuori da ogni regola di ingaggio internazionale. Non importa, per questi acquisti la Costituzione può attendere. Del resto lo Stato Maggiore della Difesa ha le idee ben chiare su dove e da chi comprare quelle munizioni volanti. Quei droni, destinati ad entrare a pieno titolo tra le armi da sperimentare nei poligoni sardi, sono israeliani a tutti gli effetti. La fornitrice ufficiale della Difesa italiana è l'israeliana Uvision. I droni armati saranno i loro: gli Hero-30. L’acquisto italiano dei “kamikaze” del cielo, capace di far strabuzzare le riflessioni dei costituzionalisti più irriverenti al potere militare, nasconde, però, retroscena inquietanti, su scala internazionale e non solo, tutti proiettati verso la Sardegna. L’operazione finanziaria, affaristico-militare è da silenzio assoluto. La consegna italiana è quella di tenerla sottotraccia, visto quello che è accaduto per la vendita delle micidiali bombe Mk 82-83-84 al regime saudita, usate, impunemente, contro le inermi popolazioni dello Yemen. Nei giorni scorsi, infatti, è stato sottoscritto un accordo tra gli israeliani della UVision e i tedeschi della Rheinmetall. Un patto, però, che parla sardo a tutti gli effetti. Nelle comunicazioni sociali agli azionisti tedeschi della multinazionale, proprietaria del 100% della Rwm di Domusnovas, nel Sud della Sardegna, la notizia è stringata quanto basta: è stato firmato un accordo di partnership strategica con UVision per lo sviluppo e la produzione delle munizioni vaganti Hero finalizzato alla creazione di una joint venture a medio termine. C’è un dettaglio, però: il parlamento tedesco ha discusso settimane su questo tipo di armamenti. Alla fine è stato perentorio: no alla produzione nel territorio tedesco di droni armati, sì alla produzione di droni di perlustrazione e monitoraggio, rigorosamente non armati.

Produzione in Sardegna

La conclusione della comunicazione è esplicita: i droni kamikaze saranno sviluppati e armati in Sardegna. Il messaggio è forte e chiaro: la Sardegna, attraverso la Rwm di Domusnovas, sarà la testa di ponte per produrre ciò che i tedeschi non vogliono produrre a casa loro. L’obiettivo è quello di inondare di “droni suicida” sia gli arsenali della Nato che l’Europa. E lo dichiarano apertamente. Romano Ricca, capo dello sviluppo degli affari di Rwm Italia, lo ha detto senza mezze parole: «La partnership strategica con gli israeliani di UVision sarà implementata dalla controllata Rheinmetall Rwm Italia SpA con l'obiettivo di rivolgersi al mercato di questo tipo di armi di precisione in Europa e Nato». Convinto che dovesse vendere i “droni killer” ai commensali dell’incontro tedesco è stato più esplicito l’omologo israeliano Dagan Lev Ari, direttore vendite e marketing di UVision: «Il nostro Hero (il drone armato che sarà prodotto in Sardegna) può essere lanciato dalle navi durante gli sbarchi anfibi dei marines. Le navi possono sparare munizioni Hero a 20 km dalla costa fuori dalla portata dei missili guidati anticarro e dietro edifici alti». Come dire: comprateli che sono sicuri, potete usarli con la facilità di una pistola ad acqua. Nell’incontro a Bonn della settimana scorsa, gli uomini di Rheinmetall, i padroni della Rwm sarda, hanno cercato di attenuare l’impatto con l’opinione pubblica tedesca: «il tipo di arma con munizioni vaganti può essere utilizzata sia in conflitti a bassa intensità con varie minacce, come dall'ambiente civile, sia in combattimenti ad alta intensità contro un avversario uguale o addirittura superiore».

Più droni per tutti

I manager di Berlino, però, sono stati espliciti: non preoccupatevi, l’operazione riguarda lo stabilimento sardo della Rwm. Ai tedeschi piace vincere facile: a loro i guadagni milionari e la coscienza intonsa, tanto a produrre i droni kamikaze ci penserà il povero Sulcis. La disoccupazione e le assunzioni trimestrali a basso costo in terra sarda sono un terreno fertile anche per le industrie belliche tedesche. Dunque, più droni killer per tutti, tanto sono made in Sardinia. Proprio come sognava Bin Laden.

(1.continua)

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