Milano, 1956. In un bell’appartamento pieno di libri viene ritrovato il cadavere di Cesare Paladini-Sforza, famoso slavista e traduttore per la casa editrice Feltrinelli.

A occuparsi del caso è Ofelio Guerrini, vicecommissario di polizia piuttosto anomalo per il suo passato di partigiano e la sua vicinanza al Partito comunista.

Guerrini intuisce che si trova di fronte a un omicidio dai risvolti complessi.

Paladini-Sforza era, infatti, impegnato nella traduzione di un'opera scottante, di cui la Feltrinelli punta alla pubblicazione in anteprima mondiale: Il dottor Živago di Boris Pasternak, scrittore russo inviso al regime sovietico.

Prende così il via Il traduttore (Feltrinelli, 2017, Euro 16, 00, pp. 256. Anche EBOOK), romanzo in cui Biagio Goldstein Bolocan racconta con sapienza e attenzione alle atmosfere d’epoca il clima difficile dell'Italia della Guerra fredda.

Un'Italia dove un delitto e un romanzo scomodo potevano intrecciarsi a con la grande politica internazionale, lo scontro tra Usa e Urss e le diverse ideologie, la rivalità tra Democrazia cristiana al governo e Partito comunista all’opposizione.

Ma perché ritornare a quel momento storico e sulla pubblicazione del dottor Živago?

"Perché fu un grande evento editoriale, l'intuizione di un giovane imprenditore, Giangiacomo Feltrinelli, che scommetteva sul romanzo di un autore quasi sconosciuto, Boris Pasternak, e lo pubblicava sfidando la resistenza dell’Urss e anche la ritrosia della sua parte politica, il Pci di Togliatti, che non ne apprezzava il contenuto. Insomma, quella travagliata vicenda mi sembra esprimere una sorta di apologia del libro in quanto strumento vivo e fecondo di battaglia culturale".

Cosa rappresentò questo libro per l'editoria e per la cultura dell'epoca?

"Il dottor Živago ci dice che anche in un periodo di grandi contrapposizioni ideologiche – il romanzo uscì nel 1957, un anno dopo il XX congresso del Partito comunista sovietico con la denuncia dei crimini dello Stalinismo, la crisi di Suez e i fatti d'Ungheria – la letteratura può affrontare la realtà della storia e le vicende umane che vi si consumano a patto che non perda mai di vista la sua missione fondamentale: quella del racconto".

Perché come protagonista ha scelto un personaggio così fuori dagli schemi come Ofelio Guerini?

"Guerini è un poliziotto, ma anche un uomo che ha attraversato la storia più tragica del Novecento – il fascismo, la guerra – scegliendosi un punto di vista 'scomodo', quello del partigiano comunista.

Finita la guerra, entra in polizia non per intima vocazione, ma perché non intende usare la laurea in legge per fare l’avvocato e il partito gli offre l’occasione di un lavoro all’interno dei corpi dello Stato, per democratizzarli. Col tempo, l’adesione al comunismo perde il suo carattere partitico, di affiliazione militante, e si fa sempre di più etica e sentimentale, percorsa dal dubbio e dal ripensamento, ma senza mai rinnegare. Insomma, Guerini è un uomo 'pesante' (anche nel fisico), un tipico prodotto del Novecento".

L'epoca in cui si muove Guerini è un periodo di grandi scontri ideologici e politici. Le manca la vivacità politica di quegli anni?

"Difficile dirlo. Sono nato nel 1966 e quindi gli anni cinquanta li ho studiati sui libri. Su di me la storia esercita un irresistibile fascino mitopoietico e quindi il rischio di idealizzazione è certo presente, ma in definitiva direi di sì, mi mancano non tanto la vivacità, ma la serietà e l’intensità con cui si concepiva e si praticava l’impegno politico".

Può esistere oggi un altro fenomeno letterario come Il dottor Živago?

"In termini numerici forse si; credo che 'Cinquanta sfumature di grigio' abbia venduto decine di milioni di copie. Ma lo Živago era un'altra cosa, era un libro dentro al quale precipitavano la Storia, il Pensiero, la Politica e l’Amore, senza sconti, in una cornice narrativa alta e complessa. In questo senso, mi sembra difficile che possa ripetersi".

Roberto Roveda

La copertina del libro
La copertina del libro
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