Gli errori della nostra storia: Paolo Pili e la lezione sardista
La “rilettura” del professor Francesco Cesare Casula, docente di Storia medievale, sui fatti e i personaggi, dal Regno di Sardegna all’età modernaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
L’antefatto – Ho conosciuto Paolo Pili verso il 1948. Ero allora un giovane studente che frequentava il Ginnasio-Liceo “De Castro” di Oristano. Per andare da Cabras – il mio paese d’origine – a scuola in bicicletta passavo tutte le mattine davanti ad una villetta con ampio giardino nei pressi del Santuario della Madonna del Rimedio. Lì, notavo sempre un signore molto distinto che curava con evidente amore le sue rose. Lo salutavo da lontano; finché, un giorno, mi chiese di fermarmi per venire a sapere chi fossi, probabilmente perché l’aveva incuriosito il mio accento allora fortemente toscano (sono nato a Livorno da genitori sardi, e son venuto in Sardegna dopo la guerra, nel 1946).
Il Sardismo – Nel corso dell’anno scolastico, le brevi soste da Paolo Pili si sono ripetute più volte, ed è così che pian piano son venuto a conoscere la sua triste storia e quella travagliata del Partito Sardo d’Azione di cui prima non sapevo niente.
Grazie a questi strani incontri, col tempo e la maturità sono diventato un convinto libero sardista, apprezzando gli ideali culturali del Sardismo: il riconoscimento di una peculiare identità sarda, la coscienza di una unità nazionale pur nel frazionamento regionale, un anelito di distinzione sociale dal resto della Nazione italiana. Di recente, a queste specificità, seguendo la mia filosofia chiamata “Dottrina della Statualità”, si aggiunge la convinzione – sempre più netta – del ruolo storico che ha avuto il Regno di Sardegna nella formazione dello Stato di cui siamo tutti cittadini.
Il Partito Sardo d’Azione – Com’è noto, la versione politica del Sardismo è il Partito Sardo d’Azione il quale ha una storia lunga più di un secolo. È nato a Oristano il 17 aprile del 1921. Suo leader carismatico fu Emilio Lussu. Vi confluirono i reduci della Grande Guerra, gli uomini del combattentismo, pur con le loro diversità di classe, di cultura e di interessi: pastori, contadini, proprietari terrieri, impiegati e dirigenti. Fu, all’inizio, antifascista; ma, sotto la pressione del generale Esclepia Gandolfo, mandato da Benito Mussolini nell’isola come prefetto, il 4 marzo 1923 buona parte del Psd’Az, guidata da Paolo Pili, si fuse col Partito Nazionale Fascista per formare il cosiddetto Sardofascismo. Ne rimasero fuori Emilio Lussu e Luigi Battista Puggioni.
L’errore del Sardofascismo – Al termine delle nostre brevi chiacchierate nel giardino di casa sua, al Rimedio di Oristano, Paolo Pili mi regalò un suo libretto intitolato “Grande cronaca minima storia” che, purtroppo, ho smarrito. Ricordo però che in esso cercava di giustificarsi del suo operato durante il ventennio fascista.
Il giudizio degli storici – Meglio di me, studiosi del calibro di Salvatore Cubeddu, Leopoldo Ortu e Mario Cubeddu conoscono le vicende del Sardofascismo e del ruolo avuto da Paolo Pili in quel periodo, e, in un certo senso, lo giustificano: «Le cronache ufficiali – spiegarono in un Convegno a Macomer – dicono che Paolo Pili è stato l'uomo che ha concluso la fusione del Partito sardo in quello Nazionale fascista». Pochi, però, sanno che ad iniziare il discorso che doveva far confluire i sardisti nel partito delle camice nere era stata un'altra figura di spicco del partito sardo: Emilio Lussu, mentre Pili non era d'accordo. «Fu lo stesso Lussu – precisa lo storico Leopoldo Ortu – ad insistere in quel senso perché, in quel momento, dopo Camillo Bellieni, era Pili il segretario del partito. Questo fatto non evitò a Pili di essere ritenuto colpevole delle scelte fatte anche da altri, e di subirne fino in fondo le conseguenze».
Accetto volentieri la versione di Leopoldo Ortu non foss’altro perché mi ricorda quel pacato signore che, giustificandosi con me ingenuo ragazzo, ha influito non poco sulla mia anima sardista.