Una sciagurata petizione - A mio giudizio, i più gravi errori della nostra Storia, dall’inizio ad oggi, sono almeno una ventina; ma, se dovessi dire quale è stato il più dannoso di tutti, per cui ne paghiamo ancora adesso le conseguenze, è stata la perdita della Statualità individuale quando chiedemmo a Carlo Alberto di fonderci col Principato di Piemonte, il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza per formare un unico grande Stato – sempre chiamato Regno di Sardegna – ma che all’interno non aveva più niente – o quasi – di sardo.

Per ottenerla, i governanti indigeni di allora si espressero in questa forma il 19 novembre 1847: «Radunatosi il Consiglio Generale di fatto unanime risolveva che la precipua dimanda da rassegnarsi alla M. S. dalla prefata Deputazione fosse rivolta alla impetrazione per la Sardegna della perfetta fusione con gli Stati R. di terraferma, come vero vincolo di fratellanza…».

La Fusione fra Stati - Per chi non lo sa, la “Fusione” o “Perfetta fusione”, secondo il Diritto costituzionale è l’evoluzione logica e naturale di un processo di sviluppo associativo fra Stati “eguali”. Non è, perciò, un’annessione ma un atto di volontà cosciente da entrambe le parti interessate, con cui si annullano le distinzioni interne federative e si trasforma lo Stato da composto in unitario o semplice.

Il bene statuale perduto - Se questa sciagurata “Fusione” non l’avessimo chiesta ed ottenuta il 29 novembre 1847, oggi saremmo potuti essere uno Stato indipendente e sovrano; come, ad esempio, l’attuale isola di Malta. Invece…

La concessione - Con molta soddisfazione (e lo credo!), il re Carlo Alberto, nell’annuale discorso della Corona, comunicò al Parlamento l’8 maggio del 1848 che «La Sardegna, rigettato il funesto retaggio di antichi previlegi, volle essere unita con più stretti vincoli alla Terraferma, e fu accolta della altre Provincie come diletta sorella».

Con questa nostra sciagurata rinuncia creammo la “Questione sarda” che ancora adesso cerchiamo di correggere e superare con forme democratiche; ma con poco successo.

I riflessi odierni della Fusione –-Come tutti i Sardi (o quasi tutti), seguo con interesse la politica regionale perché da essa dipendiamo, volenti o nolenti. In modo particolare, per mio mestiere di storico accademico seguo il problema del rapporto politico-culturale della nostra isola col Governo centrale e con la parte peninsulare della Nazione perché, da essi, senza che ce ne accordiamo, siamo colonizzati tramite la scuola, la stampa, la televisione e i mass-media, in tutti i campi della vita, specie in quello dell’intelligenza e del comportamento sociale. E, da questa dipendenza, nata con la Fusione del 1847, dobbiamo uscirne, se non si vuol rimanere succubi in eterno.

Le tre proposte - A meno che non si voglia intraprendere una impossibile guerra d’indipendenza dall’Italia peninsulare, simile a quella sanguinosissima fatta dagli Irlandesi contro la Gran Bretagna nella prima metà del secolo scorso, le più democratiche proposte di soluzione dal rapporto Sardegna-Italia, espresse da politici ed intellettuali nostrani, sono per ora tre: rinsaldare ed ampliare l’autonomia speciale, insistere sul concetto di insularità, applicare la continuità territoriale politica (non economica) col continente in quanto la Sardegna è la genitrice dello Stato italiano e le si deve almeno questo.

Ottenere tali istanze libertarie, dipende dalla capacità e volontà di tutti noi.

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