Una nostra vergogna – La triste vicenda di Giommaria Angioy non è da ascrivere ad una delle tante colpe storiche commesse da noi Sardi nel tempo; è da ascrivere, piuttosto, ad una indicibile nostra vergogna collettiva, tanto è grande.

L’unico vero rivoluzionario sardo, il nostro Robespierre, che avrebbe potuto infiammare i Sardi alla ribellione dall’oppressivo governo regio straniero, guidarli contro la nobiltà parassita locale, e forse, a portarli all’indipendenza dal Piemonte sabaudo, l’abbiamo snobbato, abbandonato e fatto andar via in esilio a Parigi, dove è morto solo, e povero in canna.

Giommaria Angioy – Nacque a Bono il 21 ottobre 1751. Intraprese gli studi a Sassari e nel 1767 conseguì il magistero di Filosofia ed Arti. Trasferitosi a Cagliari, si laureò in utroque jure nel 1771. La sua grande stagione politica ebbe inizio all’indomani della fallita invasione francese nel 1793 e, soprattutto, dopo l’insurrezione del luglio 1794 che portò alla cacciata del vicerè piemontese e che diede tutto il potere alla Reale Udienza di cui divenne Giudice. In quel periodo il movimento patriottico si era diviso, grosso modo, in tre partiti: quello feudale conservatore, quello moderato e quello democratico riformista. Di quest’ultimo l’Angioy fu l’anima e il capo. In Sardegna la situazione era diventata drammatica: tutto il Logudoro era in armi contro i feudatari; Sassari, roccaforte dei baroni, era presa d’assalto e occupata. Il l3 febbraio 1796 l’Angioy fu nominato dal vicerè Filippo Vivalda suo Alternos con pieni poteri civili, giudiziari e militari, ed inviato nel Logudoro per calmare i disordini.

Arrivato a Sassari il giorno 28, acclamato dalla folla, diede subito disposizioni per aiutare la popolazione oppressa dalla miseria. Ma il suo impegno per reprimere gli abusi feudali indusse i feudatari sardi a screditarlo presso il vicerè Filippo Vivalda che si preparò a contrastarlo.

Fine della rivolta angioiana – Ormai isolato, Giommaria Angioy, con una piccola ma tenace schiera di fautori logudoresi, pensò allora di compiere una marcia dimostrativa sulla Capitale per ottenere l’esplicito riconoscimento dei diritti dei vassalli sardi. Pare che prima avesse intrattenuto stretti rapporti con agenti francesi al fine di consegnare l’isola alla Francia per costituire uno Stato sovrano sul modello della Repubblica d’Oltralpe. Purtroppo, l’armistizio di Cherasco tra Napoleone e Vittorio Amedeo II di Sardegna (III di Savoia) fece naufragare questo suo ambizioso progetto. La marcia antifeudale iniziò il 2 giugno con molto scalpore ma con poca organizzazione. A Macomer cominciarono le prime opposizioni da parte degli abitanti. L’8 giugno l’Angioy giunse a Oristano. A questo punto gli “Stamenti”, timorosi di un’azione rivoluzionaria, inoltrarono un’istanza al vicerè per la destituzione dell’Angioy da Alternos dichiarando lui e i suoi seguaci ribelli alla Monarchia.

L’esilio e la morte – Conosciuti i provvedimenti viceregi, molti abbandonarono l’Angioy, compresi gli Oristanesi i quali, irritati per i ripetuti saccheggi, scacciarono le scalmanate schiere angioiane disperdendole del tutto. Giommaria Angioy rientrò a Sassari la sera del 15 e decise di imbarcarsi l’indomani, giorno 16, a Portotorres per Aiaccio, rinunciando alla lotta armata contro le truppe regolari e volontarie mandategli contro dai delegati viceregi. Tra la fine di maggio ed i primi di giugno del 1797 riparò a Parigi dove visse e morì il 22 febbraio 1808.

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