Una semplice influenza che si diffonde a macchia d'olio nei primi mesi del 1918 e arriva a contagiare quasi un miliardo di persone, provocando più di 50 milioni di morti in tutti gli angoli del mondo, 18 dei quali si stima solo in India.

Uno dei peggiori disastri sanitari della storia recente, la peste del 20° secolo, chiamata "spagnola" perché fu proprio la Spagna - paese allora neutrale e quindi non sottoposto alla censura di guerra - l'unica a diffondere notizie sulla malattia.

Pandemia vera e propria, che si abbatteva su popolazioni già distrutte da quattro anni di guerra e si manifestava con i classici sintomi di tosse, dolori agli arti e febbre, per poi evolversi drammaticamente in polmonite acuta e violenta, senza che la comunità medico scientifica del tempo potesse far nulla per intervenire. Non servirono le massicce dosi di aspirina, né il chinino risultato efficace contro la malaria, e nemmeno il vaccino sperimentato contro l'Haemophilous influenzae, il batterio individuato a fine '800 da Richard Pfeiffer.

A provocarla, lo si sarebbe appurato molto più tardi, una variante del virus H1N1, contratta forse in Asia da persone venute in contatto con pollame vivo che fece da catalizzatore del ceppo virale, e portata probabilmente in Europa dal Corpo militare americano dopo l'aprile del 1917.

Proprio la guerra fece sì che nel giro di pochi mesi il contagio assumesse proporzioni immense, fino a colpire un terzo dell'umanità presente allora sul pianeta, in tre ondate successive che si sarebbero poi esaurite spontaneamente nel 1920. Tra le vittime illustri si ricordano il poeta Guillaume Apollinaire, il pittore austriaco Egon Schiele, lo scrittore Federigo Tozzi e l'economista Max Weber.

Una punizione divina per la follia della guerra, secondo le credenze di allora, che trovò impreparato il mondo scientifico come quello politico, e servì comunque a far capire che simili disastri erano una realtà e che bisognava essere preparati ad affrontarli. Da qui la nascita di apposite organizzazioni sanitarie, a livello nazionale e internazionale, con la creazione della World Health Organization, l'attuale OMS, che da allora vigila su potenziali nuove pandemie, con la ricerca costante di agenti patogeni e delle loro possibili mutazioni, e la creazione di vaccini.

Quanto all'Italia si ipotizza che i primi casi si verificarono nella provincia di Vicenza, anche se all'iniziò furono scambiati per tifo. Poi, nell'autunno del 1918, arrivò l'ondata più violenta e tra la popolazione si diffuse il panico, anche perché le autorità limitarono al minimo l'informazione in merito, emanando solo divieti e consigli per limitare il contagio: dai viaggi in treno agli spettacoli serali, dalle fiere ai cortei funebri, fino ad arrivare a proibire il suono della campane a morto, per non scoraggiare ulteriormente la popolazione.

E sull'Isola il tributo umano pagato alla terribile malattia si attestò molto vicino alle 13mila anime morte sui campi di battaglia della Grande Guerra.

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)
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