“Cara Unione,
mi chiamo Elisabetta, ho 28 anni e sono di Cagliari. 
Vi leggo da sempre ma quest’anno ho pensato di scrivere io qualche cosa per voi. Un pensiero che penso (e spero) possa abbracciare i tanti sardi che, come me, hanno dovuto accettare l’idea di lasciare l’Isola per lavoro o studio.
Quando viviamo nella nostra Casa non ci rendiamo conto di quanto Lei sia speciale. La “trattiamo male”, a volte. Alcuni si vergognano del proprio accento, altri si sentono sempre “meno” rispetto al resto del Paese e desiderano una vita diversa. Ma cosa ci succede quando facciamo il “salto” e lasciamo la nostra Sardegna? Spesso rimaniamo delusi e ci manca la terra sotto i piedi. Dov’è il profumo della macchia mediterranea che sentiamo ogni sera nell’aria e al quale siamo ormai abituati? Dov’è il buon cibo, la musica, la qualità della vita che possiamo vantare? Belle domande. Io, purtroppo, non so rispondere.
Quando un sardo è lontano da casa spesso piange, perlomeno…io lo faccio spesso. Non ci sono abbastanza voli, non si riesce a tornare a casa nei momenti più importanti. Pian piano ti senti tagliato fuori da una vita che prima ti apparteneva e che poi ti scivola tra le dita.

La fortuna e il mio lavoro mi hanno permesso questa volta di prenotare i biglietti con largo anticipo, non con poche difficoltà. E il mio pensiero va dunque a tutti i fratelli e le sorelle che non potranno avere la stessa mia gioia e che rimarranno con il desiderio del “ritorno” scritto nella lettera lasciata ai piedi dell’albero. Spero che a tutti loro arrivi il mio abbraccio e i miei più sinceri auguri di buone feste.
Il mio augurio è che sulle vostre pagine, cara Unione, il prossimo anno si possano sempre più leggere notizie che scaldino il cuore, sintomo di minori difficoltà per tutti noi, immigrati e non. 
Grazie per l’attenzione”.

Elisabetta

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