“Cara Unione,

recapito a voi una lettera destinata a Gigi Riva, che però per alcuni problemi alla fine non è mai partita. Un modo per rendere omaggio al nostro illustre “amico”.

“Caro Gigi, sei arrivato disarmato, smarrito in terra straniera e non eri ancora uomo.

Con l’animo ferito e il cuore triste, camminavi sulla spiaggia, inseguendo una bicicletta che portava una donna e un bambino felice.

I ricordi si affacciano alla mente, e questo mare è un ponte che ti riporta a casa, quella casa che ora è diventata questa terra, con tutta la sua gente; gente fiera che ascolta il tuo silenzio che è anche il loro.

Gente amica che si occupa di te e del tuo dolore. Pochi sorrisi e tanto amore, da fare innamorare le ragazze. Tutti in fila per poterti avvicinare, tutti insieme per poterti toccare, come si toccano i santi e le reliquie. I santi che fanno i miracoli e donano speranze per una vita più degna e dignitosa. L’orgoglio di sentirsi sardo e figlio dei sardi.

Non si può più tornare indietro, non si può scappare da casa e c’è il mare che te lo impedisce, quella Sella del diavolo che trama contro il tuo destino e riserba anche tristezza e dispiaceri.

Salire in macchina e fuggire dalla solitudine, per più ampi orizzonti, per luoghi fuori dal tempo.

Una chiesa in campagna, un ovile in montagna, una barca sullo stagno, ferma sull’acqua limacciosa, e quel campo verde che ti aspetta e ti rispetta, dove ti ho visto danzare e alzare i pugni al cielo.

Quella rete che si gonfia, come si gonfiano i tuoi polmoni al fumo di quelle sigarette, le uniche amiche sincere dei momenti più tristi e malinconici. Forse il fumo ti avviluppa lieve, come lieve è la tua anima. Tanta gloria e tanta modestia, parole sempre misurate e mai ostili.

Franchezza nello sguardo che conquista, tristezza dentro gli occhi che rapisce e la battaglia dentro al campo che smarrisce. L’urlo della folla, i cori di esultanza e i campanacci che festeggiano la tua vittoria.

Non c’è vino che faccia onore alla tua maglia, non c’è musica che non ti accolga con onore, e le maschere dei mamuthones sfilano in gruppo come guardie del corpo, come guerrieri che difendono il proprio eroe. Un eroe omerico sulle orme di Ulisse che ritrova alla fine del viaggio la sua Itaca.

E ora lì, rinchiuso dentro questa stanza che aspetti qualcuno che riesca a tirarti fuori. Tutti sarebbero disposti a tenderti una mano, tutti aspettano che tu ancora una volta guardi verso il cielo con i pugni chiusi, sapendo che una bicicletta possa ancora passare con una donna e un bambino in canna, oltrepassando le nuvole e salendo verso il cielo.

Grazie ancora per tutto quello ha fatto per la nostra terra”.

Nene

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