L ’articolo 116 della Costituzione conferma ciò che era nella storia e che oggi è nei fatti: Sardegna Regione autonoma. Una regione diversa, per una serie di motivi, dalle altre regioni ordinarie, “normali”. Mettiamo che un curiosone chieda sotto i portici di via Roma a Cagliari a un sardo proiettato dal destino “cinico e baro “negli scranni dorati del Consiglio regionale, cosa ci guadagnano i conterranei dall’autonomia. La prima risposta: soldi, a Roma piacendo. Tutto qui? Certo che no, andando oltre la pecunia, la possibilità di decidere su alcune importanti materie non è un dettaglio secondario come il cane che abbaia alla luna che niente aggiunge e niente toglie al quadro d’autore. Aggredire le nostre bellezze storiche e ambientali è un oltraggio oltre le regole che i sardi “balentes”, di valore, rifiutano. Ancora di più mortifica non ritrovare nelle piazze i politici con la bandana dei 4 mori, i sindaci in fascia tricolore e quant’altri che, dopo aver votato di mattina un ordine del giorno contro l’eolico, di sera riprendono a filare lana sarda nei telai romani “ove è amore, gioia e vita” (Bellini/Norma). Al dolore si aggiunge la beffa quando intonano “Procurade ’e moderare barones sa tirannia” o “Sa fide nostra non la paga dinare” per chiudere con l’urlo di un impegno tradito: “Fortza Paris”. Sempre con la stessa, solita faccia: di bronzo.

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