Comunque vada
Caffè Scorretto
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S e su Garlasco riuscissimo ad avere uno sguardo, come dire, meno Netflix e a richiamare con un fischio le nostre attenzioni, che ora corrono nella muta dietro un nuovo obiettivo dopo aver mordicchiato un osso sempre più vecchio, allora potremmo contemplare quello che comunque sarà un disastro.
Intanto perché o c’è un uomo ingiustamente prigioniero da anni oppure ce n’è un altro ingiustamente braccato e soppesato e riletto in ogni suo sospiro da 60 milioni di connazionali, trafitto da un raggio di riflettore come in un adattamento di Quasimodo per Rete 4.
E poi perché si spegne un’altra volta l’illusione civile che la formula della “condanna definitiva passata in giudicato” corrisponda sempre e per forza a una altrettanto definitiva verità, si spegne di nuovo l’equivoco confortante sul garantismo del nostro sistema, che (se gli riesce) è garanzia umana e procedurale per l’imputato ma noi, per assonanza, spesso fraintendevamo volentieri come garanzia scientifica del verdetto.
Certo, volendo fare gli ottimisti si potrebbe dire che da oggi basterà dire «Garlasco» per zittire qualunque sanguinario da talk show che proponesse di riesumare la pena di morte «ma solo per i delitti più atroci e quando la colpevolezza è certa». Ma no, neanche questa utilità rimane: questo ce lo aveva appena spiegato Beniamino Zuncheddu.