- Quanti anni hai?

- Dodici.

- Dimmi la verità.

La verità è che saliva deciso verso il metro e novantotto e quindi sembrava più grande. Ma vallo a spiegare alla prof che lo guardava dal basso verso l'alto, al poliziotto che pretendeva la carta d'identità, all'istruttrice che intravedeva il campione.

Tore Serra ride di gusto perchè neppure la donna che lo ha lanciato nel mondo del basket gli aveva creduto: «Amalia Rinopoli faceva parte dello Sforza, la società fondata da Gianfranco Fara con la moglie Maria e Otello Formigli», (per chi non lo sapesse, lo storico allenatore del Brill). Conosceva il padre, originario di Oliena, e aveva puntato sul quel ragazzino alto più di tutti. Da domani vieni a giocare a basket, con tuo padre parlo io. Un ordine.

Quando a sei anni, nel 1961, con i genitori e i due fratelli si era trasferito da Orosei a Cagliari non sapeva che la pallacanestro era nel suo destino né immaginava di diventare l'ala guardia sarda più forte di tutti i tempi. È successo per caso. «Frequentavo le Medie alla Regina Elena di via Dante e tra gli insegnanti c'era Giulio Siddi, fratello di Mario». Era stato subito indirizzato verso la pallacanestro. «Giocavo a scuola, una volta alla settimana». Ma d'estate frequentava la parrocchia di Cristo Re, «ero chierichetto e con mio fratello ci facevano sempre portare i candelabri, quelli grandi». Lì si giocava a pallone ma nella vicina Santa Lucia c'era un campo da basket. Dov'era arrivato l'ordine di Amalia. «Andavo a piedi alla Fiera da casa mia, in zona San Giuliano, perchè il 3 passava ogni ora e non potevo aspettare». Amore a prima vista, passione crescente.

Il Brill - «Nel giro di due anni ero in squadra». All'epoca il Brill di Alberto Pedrazzini, Claudio Velluti, Mario Vascellari era in serie B. Formigli gli disse: il prossimo anno giochi con i grandi . Detto, fatto. «Ricordo il primo giorno, avevo un certo orgoglio ma nulla di particolare». A 15 anni l'esordio in serie A. «Mi allenavo con la prima squadra da mesi». Da allora è stato una pedina fondamentale del grande Brill. «Per tutto il ciclo». Dieci anni da favola. «Il palazzetto era sempre stracolmo, la partecipazione della città era straordinaria». All'epoca si sognava con i rossoblù di Gigi Riva e il quintetto di Sutter, Ferello, Puidokas, Melillo, Serra. «Eravamo lì due ore prima della partita per trovare parcheggio: il Cagliari giocava alle due e mezzo e tutti andavano prima al Sant'Elia e poi da noi, non c'era un posto».

Umiltà - L'organizzazione della giornata era semplice: la mattina a scuola, ai Geometri, e dalle 5 alle 9 di sera in campo. Tutti i giorni. Senza capire a fondo il proprio talento. «Mai. È stata la mia più grossa pecca, io giocavo perché mi piaceva». Anche da professionista. «Tanto è vero che ho continuato con i miei vecchi compagni di scuola. Li cercavo, volevo sentirmi uguale a loro». E dire che il basket era quasi un lavoro. «A 17 anni prendevo cinque volte lo stipendio di mio padre che era un operaio elettricista e si alzava tutte le mattine alle 5. Mi vergognavo».

La scoperta - I genitori seguivano le sue gesta sportive con distacco: «Mio padre è venuto due volte, mia madre mai. Mi chiedevano: avete vinto? Bravi . Ma quando il padre è morto in un cassetto Tore Serra ha trovato tutti i ritagli de l'Unione Sarda e de l'Informatore del lunedì che parlavano di lui. «Se fai sport e ti diverti e ci guadagni pure devi avere molta umiltà. Non bisogna esaltare gli sportivi ma i medici, i ricercatori, gli studiosi». Grazie al basket ha viaggiato in mezzo mondo: «Il primo volo a quindici anni, un Fokker Itavia a elica da Cagliari a Napoli». Un'avventura. «Sono stato in Libia, negli Stati Uniti, in Bulgaria, in Francia». Meeting, Europei, Mondiali militari: podio e medaglie. «A 16 anni sono stato convocato con la Nazionale juniores». Era partito da solo, Cagliari-Civitavecchia in nave e poi in treno fino a Cortina d'Ampezzo. «Sedici ore seduto sulla borsa nei corridoi». Però, che bello. «Da poco ne ho parlato con Dino Meneghin, gli ho detto che avrei raggiunto il raduno della Nazionale a nuoto. Lui, il più grande di tutti, ha ribadito: anche io sarei andato a piedi . Perché vestire la maglia azzurra, salire sul podio, sentire l'inno è un'emozione indescrivibile».

A casa intanto facevano sempre finta di nulla: «Quando ho finito l'Isef sono partito per la leva. Aeronautica. Sono andato nella caserma e dopo pochi giorni ero già a casa perché dovevo partire con la Nazionale militare per la Libia. Mia madre non si aspettava di vedermi e mi ha chiesto: sei scappato? ».

La passione - Neanche la immagina la sua vita senza il basket. «Ho giocato fino a 46 anni, in tutte le categorie del campionato italiano: dopo il Brill sono stato a Pordenone in serie A e B, a Latina in B, alla Dinamo in B, di nuovo a Pordenone e poi all'Esperia». Era il 1985, a Cagliari il basket tirava di nuovo. «Palazzetto strapieno». Tore Serra giocava con Pippo Lai, Stefano Pillosu, Massimo Turella, Marco Dotta, Mauro Fortunato.

Ora che insegna Scienze motorie ed è vicepreside alle Elementari di Su Planu è successo anche a lui di trovare un talento a scuola: Angela Dettori, classe 1996. Soddisfazione grande.

Segue pure la sua società di basket. «Da 31 anni: alle due finisco il lavoro a scuola e vado subito al campo dove resto fino alle dieci». In più è vice presidente della Federazione. «Non sono mai uscito dal basket». Un mondo che gli ha insegnato «rispetto, educazione, lealtà: i nostri istruttori devono propagandare questi valori». Che ha voluto testimoniare perfino davanti al Papa. «Ho incontrato Wojtyla nel periodo in cui giocavo a Pordenone, sapevo che era appassionato di sci ma gli ho voluto portare un pallone da basket». What else?

Maria Francesca Chiappe
© Riproduzione riservata